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Sindbad torna a casa, Sandor Marai @Adelphiedizioni

Sindbad era lo pseudonimo dello scrittore ungherese Gyula Krudy, che Sandro Marai amava moltissimo. In questo romanzo Marai lo ritrae una giornata facendogli ripercorre le strade della vecchia parte di Budapest in cerca del mondo perduto.

Va in bagni termali, caffè, alberghi e ristoranti in cerca delle sensazioni della vecchia Ungheria, degli uomini che scrivevano per scrivere, delle donne vere, del cibo e del vino che gli ricordino cos’era una volta la sua patria.

Non succede nulla, è tutta una narrazione basata sui ricordi e sulle sensazioni: ma quanta nostalgia!

Dove sono gli scrittori e i poeti ungheresi, quelli veri? si chiede Sindbad.

(…) gli unici che si potessero vedere, in città, erano solo i giornalisti di mezza tacca e gli pseudoscrittori. Quelli veri, giovani e vecchi, quei pochi che custodivano ancora nella loro grotta segreta la lingua, lo spirito, le regole del gioco, il fervore, ovvero in generale tutto ciò che dava il diritto alla nazione, tra popoli invidiosi, di vivere sulla terra degli antenati, gli scrittori non andavano più da nessuna parte.

Sindbad (ma anche Marai) scrive per ritrovare la sua vecchia Ungheria, per riprodurre odori e pietanze, e ogni piatto o luogo che nomina si allarga per inglobare tutta una cultura perduta.

Scriveva perché sentiva quella voce nella sua vita, che era fragile e infelice come quella di ogni vero scrittore e di ogni autentico ungherese (…). Quella voce l’avevano sentita tutti i suoi antenati, ma non erano stati capaci di esprimerla in parole, per cui avevano soffocato nel vino, nelle avventure e nella musica le domande sollevate da quella voce.

Libro breve, densissimo di nomi di autore ungheresi, tanto che uno si chiede: ma quanti scrittori e poeti ha l’Ungheria?

Su tutto, aleggia la tristezza e il desiderio di morte.

E Marai, per quanti anni se l’è portato dietro questo desiderio di morte?

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