A Markacev, direttore di un’importante quotidiano di Mosca, viene un infarto. Così, all’improvviso. Nel letto dell’ospedale in cui fatica a riprendersi, Markacev ripercorre la sua ultima settimana cercando di capire cosa può aver fatto collassare il suo cuore, proprio a lui, che ha una vita invidiabile, che è ammirato, ha buone possibilità di far ulteriore carriera; a lui, a cui non manca nulla. A lui, che crede fermamente nel comunismo.
Nel ripercorrere i suoi ultimi giorni, però, qualcosa non torna (perlomeno secondo i canoni occidentali).
Intanto, la gente che gli sta attorno: è gente che, se non ha fatto carriera (alle spalle di chi non l’ha fatta), ha dovuto subire tutta una serie di angherie politiche ed umane.
E poi: Markacev era convinto di star bene. Sì, un po’ di pancetta addosso se la vedeva, ma tutto sommato… solo che nel corso del lungo flash-back, si scopre che prende un disastro di pillole per ogni tipo di malanno (guarda caso, pillole che si trovano solo all’estero).
Infine, il manoscritto: Markacev si è trovato un manoscritto sulla scrivania. Non sa chi glielo ha lasciato. E’ un testo il cui solo possesso potrebbe portarlo in galera, perché, pur scritto da un marchese francese un secolo prima, descrive le nefande condizioni in cui versa l’Urss. Se le spie di cui Markacev sa di essere circondato sapessero che ha tenuto nascosto un testo del genere…
L’assurdità fa capolino nel romanzo attraverso la figura del marchese stesso, che arriva a porta chiuse dopo esser passato per “il buco dell’ozono”.
Nelle righe della storia si capisce che l’assurdità crescerà pagina dopo pagina fino ad arrivare ad un epilogo ai limiti dello farsesco, ma io mi son fermata a pagina 156 (su 566).
Ho difficoltà con l’ironia troppo marcata.
Faccio presente però che questo romanzo è stato prescelto dall’Unesco come il migliore romanzo contemporaneo in traduzione.