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La dieta anti-età (Steven R. Gundry) @Feltrinellied

Questo è un saggio che riunisce le ultime conoscenze in fatto di alimentazione e stili di vita allo scopo di “morire giovani a un’età matura”.

Innanzitutto, non bisogna mangiare troppo: Gundry cita spesso Valter Longo, l’inventore della “dieta mima-digiuno”. Siamo animali abituati a cicli di abbondanza e carestia, e, ad esempio, anche saltare la cena fa bene al corpo e al cervello.

Come? Bè, anche i neuroni hanno bisogno di essere periodicamente ripuliti dalle sostanze di scarto e dai metalli pesanti. Ciò accade mentre dormiamo, quando siamo nella fase di sonno profondo (la prima parte della notte, per intenderci): in queste ore, i neuroni si… restringono, dando la possibilità al liquido in cui sono contenuti di circolare e portare via tutto ciò che è in più.

Ebbene, questa operazione è quasi impossibile se andiamo a letto con un pesante pasto sullo stomaco, col risultato che le sostanze nocive si accumulano notte dopo notte.

Ma Gundry si appoggia anche a molte altre ricerche scientifiche in materia di alimentazione ed è giunto alla conclusione – l’ennesima, in questo ambito – che meno alimenti animali si mangiano e meglio è.

Altre nozioni in ambito alimentare le avevo già lette in altri libri: l’aspetto oscuro dell’ormone della crescita e dell’alto metabolismo, i vantaggi della donazione del sangue (grazie all’abbassamento del ferro), l’assoluta importanza del microbioma intestinale…

Quello che mi è risultato nuovo, è l’avvertimento contro certi tipi di verdure che contengono leptine: le leptine sono sostanze prodotte dalle piante per difendersi dagli agenti esterni e dai predatori e che possono risultare dannose per il nostro intestino.

Ebbene, tra i vegetali più ricchi di leptine, e dunque più pericolosi, ci sono i legumi, che secondo altri guru delle alimentazioni salutari sono tra i pilastri principali!

Questo non mi torna… Se guardiamo alle zone blu e in generale ai centenari, scopriamo che i legumi sono una parte importante della loro dieta.

Certo, bisogna considerare tutto lo stile di vita, non sono delle categorie alimentari, però questa messa al bando dei legumi non mi convince al 100%, perché mi pare che Gundry sia l’unico nel settore a insistere su questo punto, tanto da averci scritto un libro “The plant paradox” (“Le verdure fanno male”, in Italia).

Ho tirato un sospiro di sollievo quando ho letto che la pentola a pressione distrugge in gran parte le leptine dei legumi e delle altre verdure.

Via libera a tutta una serie di cibi: konjac, ghee, miglio, olio di oliva extravergine pressato a freddo, semi di lino, verdure verdi, crucifere, noci, funghi, avocado, cocco, bacche ecc…

Il libro è poi completato da una parte che suggerisce gli integratori da usare (ebbene sì, al giorno d’oggi neanche il cibo sano è più sufficiente), l’attività fisica e le immancabili ricette (che trovo, come tutte le ricette americane nei libri salutistici, sovraccariche di ingredienti).

Una nota sullo stile: Gundry incentra tutta la sua ricerca sugli effetti che la microflora intestinale ha sulla salute e sulla longevità. Ebbene, quando parla dei batteri buoni e di quelli cattivi, sembra quasi racconti la storia della compagnia dell’Anello, con i buoni da una parte e i cattivi dall’altra.

E’ un atteggiamento che strizza l’occhiolino a chi ha bisogno di essere rassicurato che alla fine vinceranno sempre i buoni, ma… è troppo. Insomma, è comunque un libro per adulti maturi e vaccinati.

L’ho letto in inglese perché l’edizione della HarperCollins costava leggermente meno dell’edizione Feltrinelli, per lo meno nel sito in cui l’ho preso, ma l’edizione italiana in Ebook è molto abbordabile, approfittate.

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La vita accanto – Mariapia Veladiano

Oggi nascono movimenti per i diritti degli immigrati, dei gay, delle donne, dei malati, degli animali abbandonati, degli alcolisti, dei tossicodipendenti; delle vittime della strada, della violenza domestica, dei vaccini, delle multinazionali… e via di seguito.

Ma nessuno ha mai pensato a dare il via a un movimento per i diritti dei brutti.

C’è un festival, il No-Bel, ma è più un’occasione conviviale, per ridere di se stessi e sdrammatizzare la propria situazione; situazione che, al di fuori delle luci clownesche, non fa ridere per niente ed è più diffusa di quello che si pensa.

Il brutto, nella nostra società, è sottoposto ad ostracismo, e non se ne parla. Non ne parla neanche chi ostracizza, perché costui si giustifica in mille modi: nessuno ammette di non aver assunto un tizio perché era brutto, di aver scelto una donna la posto di un’altra perché era più bella, di provare simpatie lasciandosi guidare dal solo criterio estetico.

Ma fidatevi: è così.

Ecco perché il libro della Veladiano è meritorio: perché ha per protagonista Rebecca una bambina brutta. Irrimediabilmente ed oggettivamente (sì, oggettivamente) brutta.

La bruttezza assume caratteristiche crudeli nell’età adolescenziale: quando sei al di sotto del livello accettabile, se ti va bene, ti ignorano. Se ti va male, ti usano come bersaglio di battute e aeroplanini.

La Veladiano ha una scrittura poetica, ma troppo paratattica, che a volte stanca. Si va avanti con la lettura solo perché si vuol scoprire cosa tiene nascosto la bellissima zia di Rebecca (qualcosa che non è così “tremendo” come annuncia la copertina) e se la bambina riuscirà, in qualche modo, a sfangarla nel mondo.

Ce la fa, in qualche modo. Ma è un ripiego. Un modo di vivere in sordina, dedicandosi a una passione, il piano, che su una persona bella avrebbe potuto aprire innumerevoli porte e portoni.

Ho trovato poco realista la reazione dei genitori dei compagni di classe di Rebecca: è verosimile che un gruppo di adulti si scagli in questo modo contro una bambina perché è brutta? La mia è una domanda reale, non retorica: soprattutto perché la scrittrice ammette, alla fine del libro, che “Rebecca” abita da qualche parte, in una via della provincia di Vicenza.

I brutti sono una categoria disagiata.

Festa delle donne? E perché non una festa dei brutti, allora? (tanto, come inutilità, saremmo sullo stesso piano)

VOTO: 4/5

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Slow cosmétique, consigli e ricette efficaci per una cosmesi eco-bio – Julien Kaibeck

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Lo scopo della slow cosmétique, ispirata al movimento italiano slow food, non è quello di fornirci tante ricette per produrci i cosmetici in casa, sebbene in questo manuale se ne trovino diverse. Lo scopo è quello di farci cambiare atteggiamento nei confronti della bellezza e dell’apparenza.
Imperativo categorico: non credete al marketing! Niente in contrario agli acquisti di creme da 180 euro al barattolo, ma… con la consapevolezza che le promesse snocciolateci dalla pubblicità resteranno lettera morta. Dunque, se vuoi comprarti una Lancome o una Roccobarocco, fai pure, se ti fa star bene, ma sappi che non ti darà nulla più di un po’ di soddisfazione psicologica.

Non esistono creme che fanno sparire le rughe, né quelle che fanno sparire le occhiaie. Non esistono cosmetici che ci inoculano acqua nelle cellule epiteliali, semplicemente perché è impossibile: la pelle è fatta apposta per essere impermeabile. Quello che si può fare, però, è migliorarne lo strato superficiale, quello idrolipidico, rinforzando il cemento che tiene unite le cellule e che impedisce all’idratazione sottostante di evaporare. E dunque: vai di oli vegetali!! Senza impazzire in internet alla ricerca della rosa damascata, affidati all’olio di oliva per struccarti (l’ho provato, funziona! Basta avere l’accortezza di inumidire il batuffolo di cotone prima di applicarlo, altrimenti si sfalda). E poi, super jolly, l’olio di jojoba, adatto sia alle pelli grasse che a quelle secche (altro mito da sfatare: gli esseri umani hanno quasi tutti la pelle mista, le pelli davvero secche sono una rarità).
Gli oli non ungono, basta saperli applicare nel modo giusto.
E poi vai di massaggio facciale.

Insomma, viviamo slow, senza correre alla ricerca degli ultimi ritrovati cosmetici superpubblicizzati, senza credere che esistano creme specifiche per gli uomini e altre creme diverse per le donne, senza credere che lo shampo e il docciaschiuma siano due prodotti altamente differenti tra loro.
Consapevolezza dunque. Testa. Ragionamento. Sangue freddo quando compaiono i capelli bianchi. Autoaccettazione. Informazione (impariamo a leggere gli INCI). Mai credere a nessuno solo sulla parola, neanche (e soprattutto) a chi sbandiera ingredienti “naturali”; ad esempio, prendiamo il sapone di Aleppo:

Nonostante il metodo di fabbricazione molto rispettoso dell’ambiente e gli ingredienti assolutamente naturali, nemmeno questo sapone è adatto alla pulizia del viso perché, come i saponi classici, ha perduto una parte della sua glicerina naturale e il suo pH è troppo alcalino. Dovrà quindi essere utilizzato unicamente per il corpo e soltanto di quando in quando.

Per rinnovare le cellule, è molto meglio uno scrub (con gel di aloe e farina di mais, suggerisco io) o con la spazzolatura. Per prevenire le rughe è molto meglio la ginnastica facciale, che una crema.
Una delle tecniche di marketing per aumentare le vendite consiste nel settorializzare i bisogni, convincerci che abbiamo bisogno di una crema per il viso, una per le mani, una per la zona a T, una per il contorno occhi…. NO! La Slow Cosmétique ci consiglia di avere il minor numero di prodotti possibili, ad esempio usando le farine o l’argilla sia per il viso che per i capelli. Oppure le basi lavanti, che possiamo personalizzare con gli oli essenziali.
E che dire dei profumi fatti in casa a partire… dalla vodka?? Questo devo provarlo. La prossima volta che passo da Visotto ne prendo una bottiglia: a mio marito verrà un colpo vedendomi tornare a casa con una bottiglia di vodka. Ma gli ho già fatto prendere un colpo l’altro giorno, che mi son fatta un impacco anticellulite al peperoncino: nel box doccia ho rischiato di morire soffocata per gli effluvi infiammatori della gola. Complimenti.

Insomma, sono nuova all’argomento, ma sto già sperimentando con pentolini e vasetti, sulla scia di Carlitadolce e tante altre nel web. Più leggo sull’argomento e più mi rendo conto di quanto pure io, anti-consumista dichiarata, sia preda delle pubblicità e delle modelle fotoshoppate. Ragazze, quando è difficile accettarsi così come si è! Ma un po’ di superficialità, ogni tanto, fa bene.

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Clio beauty-care, Clio Zammatteo

Tra i miei propositi per il nuovo anno, ho inserito: imparare a truccarmi. Dunque mi sto informando. Su Youtube ho trovato Cliomakeup, una ragazza molto simpatica che vive a New York (lei è di Belluno, e si sente, ha il mio accento veneto).
Ieri ho trovato in libreria la sua opera: libretto pieno di fotografie, a lettura veloce. La parte iniziale è informativa, spiega come è fatta la pelle e integra con domande e risposte (tipo: è vero che il dentifricio fa sparire i brufoli? Noooo! E si spiega il perché). E’ una parte che mi è risultata utile perché la mia cultura “epidermica” si basa sulle informazioni che mi vengono date dall’estetista: che è brava e si aggiorna, ma comunque per lavoro deve vendere i suoi prodotti e proporre i suoi servizi, dunque non è sua priorità informarmi sui rimedi naturali.

Da vegana, trovo difficile spignattare per creare creme e tonici a base di latte vaccino e yogurt, perché sono prodotti che non ho normalmente in casa, dovrei comprarli (ricordo che non sono vegana per scelta etica) e comunque, considerati i bassi dosaggi necessari per la produzione delle cosmetici naturali, ne avanzerei un bel po’, ma devo ammettere che per il resto Clio si limita a consigliare ingredienti che sono solitamente presenti nelle case delle donne (forse l’argilla ventilata un po’ meno, ma diciamo che gli oli di jojoba e gli oli essenziali non mancano quasi mai, nemmeno da me, che sono una sciattona).

Ho qualche dubbio sul dentifricio al limone: l’acido citrico, da quanto ne so, rovina lo smalto dei denti a lungo andare. Qualcuno ne sa più di me?

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