Dopo il successo di “La ragazza del treno”, sono stata felicissima quando mi hanno regalato “Dentro l’acqua”. Devo ammettere tuttavia che questo romanzo non mi ha entusiasmato moltissimo.
In breve: Jules deve prendersi cura della nipote Lena perché sua sorella Nel è morta in seguito a una caduta da una scogliera. Si scopre che Nel stava indagando sulla scogliera stessa, facendo domande a destra e a sinistra per scrivere un libro sui suicidi là avvenuti.
A ciò si collega la morte di Katie, amica del cuore di Lena: anche Katie è caduta (o si è suicidata?) dalla scogliera.
Ma bisogna risalire nel tempo per capire le vere ragioni degli ultimi avvenimenti: in ciò, ci aiuta Nickie Sage, una vecchia medium mezza matta che (ovviamente… e qui ecco un altro stereotipo) nessuno ascolta.
La storia e il legame tra gli omicidi è decente, e mi piace l’idea di un luogo in cui vanno a morire donne problematiche (mi piace l’idea delle donne problematiche!), ma secondo me la costruzione generale lascia un po’ a desiderare.
Innanzitutto, il romanzo è diviso in quattro parti: le prime due sono dedicate all’approfondimento psicologico dei vari personaggi. Praticamente: metà libro. Per metà libro non si scoprono intrallazzi né si delineano chiari moventi. Si intuiscono, sì, ma i personaggi sono reticenti, tanto, tanto reticenti. Parlano a metà, non dicono: capisco che sia funzionale al thriller, ma la gente, la gente vera, non fa così. La verosimiglianza deve sempre tenere, anche se non si può rivelare tutto: è questo il difficile dei thriller.
Altro difetto: alcuni personaggi parlano in prima persona, altri vengono descritti in terza. E guarda caso, uno di quelli in terza persona è un omicida. La scelta della persona in questo caso ha dato un indizio indiretto…
Infine: Lena, la figlia di Nel Abbott (una delle donne “cadute” dalla scogliera) è di un’antipatia unica. Lo stereotipo dell’adolescente problematica è noioso, noioso, noioso. E antipatico.
I segreti ti possono tenere la testa sotto il livello dell’acqua?
Mah.