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Il segreto dei bambini ottimisti, Alain Braconnier @Feltrinellied

Cominciamo con gli aspetti positivi del libro, tanto per essere… ottimisti!

Il motivo che mi ha spinto a comprarlo, è che, temendo di essere una pessimista, non volevo rendere pessimista anche mio figlio, visto che i bambini ottimisti non solo ottengono più traguardi nella vita ma, in generale, sono più gioiosi.

E’ infatti innegabile che – oltre all’aspetto genetico – noi trasmettiamo ai figli il nostro modus vivendi. Braconnier è riuscito a tranquillizzarmi, dicendomi che ci sono due fattori che ostacolano questa trasmissione di pessimismo tra le generazioni:

Innanzitutto l’equilibrio che, spesso, si instaura a questo proposito fra i due genitori, uno dei quali, in genere, è più ottimista dell’altro. Il secondo fattore è più paradossale: il bambino stesso ci permette di tornare ottimisti, immergendoci in un’atmosfera e mentalità “infantili”.

Devo convincermi di questo, perché le convinzioni errate diventano spesso una profezia che si autoavvera!

Ho trovato poi alcuni suggerimenti generali che avevo già incontrato in altri manuali sull’ottimismo per gli adulti, ad esempio:

  • identificare i pensieri negativi.
  • Parlare col figlio di cosa potrebbe accadere nel corso della giornata.
  • provare nuove cose.
  • incoraggiare il bambino a commentare anche i progressi, non solo i risultati.
  • incoraggiarlo a chiedere consiglio a chi considera competente.
  • attenzione che un ottimismo esagerato può esser pericoloso!

In generale, tuttavia, questo libro non mi ha entusiasmato.

I consigli pratici sono pochi, è più descrittivo che prescrittivo, ripete sempre gli stessi concetti con parole diverse, ci sono tante domande retoriche e molte affermazioni più che ovvie.

In generale, inoltre, noto che Braconnier espone un sacco di teorie e tesi e ricerche scientifiche, ma non segue una linea sua. Lui ti spiega cosa dicono questo e quello, non sviluppa un suo modello speculativo: ciò ha i suoi lati positivi perché ti mostra la varietà della ricerca sul campo, ma è un puzzle di varie tessere che formano un disegno poco coerente (se si esclude una regola generale che è quella di adattarsi all’individualità di ogni bambino).

Di Braconnier avevo già letto “Anche l’anima fa male” e devo dire che in questo secondo incontro ho notato gli stessi difetti. Autore eliminato.

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Benedizione – Kent Haruf

Wow.

Che bel libro.

Non ci sono squartamenti, né assassinii né scazzottate, dunque non leggetelo se cercate avventura allo stato puro. Qui la storia parla di famiglie normali con problemi normali: vecchiaia, morte, figli, amore, tradimenti, nostalgia.

Ho sentito in qualche videorecensione che questo sarebbe un romanzo corale: secondo me no. Nel coro nessuna voce risalta sulle altre. Qui invece il protagonista è Dad, cui è stato detto che gli resta un mese da vivere a causa di un cancro al polmone, e la sua famiglia, la moglie Mary e la figlia Lorraine. Poi ci sono le storie parallele delle vicine di casa, madre e figlia, vedova una, abbandonata l’altra; poi c’è la storia del sacerdote della comunità, che è stato mandato via dalla città di Denver per le sue idee troppo rivoluzionarie (in realtà si limitava a dire quello che è scritto nel vangelo).

Insomma, sì, è vero che ci sono più voci, ma un coro me lo immagino agire all’unisono, mentre in questo romanzo quando si segue la storia di una persona o di una famiglia, ci si concentra su quella, si entra a casa loro, si mangia con loro, si prova quello che provano loro.

Insomma, per i tre giorni di durata della lettura, io sono stata nella provincia americana, in Colorado, al caldo. Aiuta nell’immedesimazione anche la scrittura liscia liscia, senza elementi barocchi, con poche similitudini e pochissimi punti esclamativi; addirittura mancano le virgolette del discorso diretto. Tutto scivola via, anche un suicidio e un tentato suicidio.

E la benedizione cos’è? La vita. Che, lo dice in un paio di punti del libro, non va mai come vorresti (neanche le benedizioni, se è per questo). E’ un romanzo che racconta la normalità della vita: questa benedetta normalità.

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UN GENITORE QUASI PERFETTO – Bruno Bettelheim

Sono quasi 600 pagine, ma scritte in modo molto amichevole e, soprattutto, senza tecnicismi ne’ estremismi: solo buon senso! Lo consiglio a tutti i genitori (anche ai papà, che di solito sono meno portati alla lettura di testi del genere).

Il principio è che per essere genitori passabili (la ricerca della perfezione in questo campo rischia di fare più male che bene) bisogna avere fiducia nella propria capacità e nelle capacità (mentali ed emotive) del proprio figlio. Non guasta inoltre una certa capacità di immedesimazione nei panni dei bambini, per quanto possa essere difficile ricordare come ci sentivamo trenta o quarant’anni fa.

Il succo è sempre quello: inutile fare grandi discorsi, perché i figli sono più impressionati dalle emozioni provate dal genitore che dalle sue intenzioni coscienti; e anche se non sanno verbalizzare, captano le nostre insicurezze meglio di un radar. Dunque… prima di fare un figlio: tutti dallo psicologo!!

Scherzo. Ma non tanto.

Il libro è diviso in capitoli per argomento. Ho trovato particolarmente interessante quello che riguarda le punizioni, perché spiega nel dettaglio perché sono inutili e come possono diventare controproducenti.

Inoltre, bisogna stare attentissimi alle critiche:

(…) muovendo delle critiche a un bambino, nonché imponendogli quello che deve fare, si riduce il suo rispetto di sé perché si richiama la sua attenzione sulle sue carenze. Allora, anche se ubbidisce, in realtà non ha imparato nulla di utile, perché non viene incoraggiata la formazione di una personalità autonoma.

E pensare che anche oggi non mi rivolge la parola se non per criticare qualcosa!

Il fatto è che invece di sgridare i figli o di imporgli di smettere quello che stanno facendo, bisogna spiegargli il PERCHE’. Dunque, se al supermercato il piccolo tocca tutto, col rischio di far cadere la montagna di lattine o i vasetti di vetro dei sottaceti, non basta dirgli “non toccare!”, bisogna farlo ragionare su come ci sentiamo quando lui si comporta così, o su quello che può pensare il proprietario del supermercato se lo vede toccare i suoi prodotti in quel modo.

Infine, tra le tante dritte che questo libro può dare (raccomando anche il capitolo incentrato sulla scolarità), vi lascio questa:

Le biografie dei grandi uomini del passato sono piene di riferimenti alle lunghe ore trascorse da giovinetti in riva al fiume immersi nei propri pensieri, o a vagare per i boschi in compagnia del cane fedele a sognare i propri sogni. (…) Nelle classi borghesi, la giornata di ogni bambino è densa di attività organizzate: riunioni dei boy scout o delle guide, lezioni di musica o di danza, attività sportive; questi bambini quasi non hanno il tempo per esser semplicemente se stessi.

In fondo lo diceva Goethe: il genio si nutre nella solitudine. Mi immedesimo in queste frasi: perché mio figlio raramente ha delle ore totalmente vuote. Col risultato che quando gli capita, viene da me e mi chiede: Mamma, che faccio??

La prossima volta gli risponderò: vai nel bosco a fantasticare.

 

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Questi bambini!

O non dovremmo piuttosto dire… Questi adulti!? E mi ci metto io per prima. Educare e’ difficile perché bisogna dare l’esempio giusto, non perché bisogna parlare nel modo giusto.

Da “Un genitore quasi perfetto” di Bruno Bettelheim:

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Sfida del giorno: l’aspirante scrittore

Convincere mio figlio che non è necessario scrivere un libro a sette anni…

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Qualcosa di vero – Barbara Fiorio

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Giulia, una donna in carriera, si ritrova quasi ogni sera a raccontare favole alla figlia della vicina. La bimba, Rebecca, ha quasi nove anni. Solo che le fiabe non sono quelle che sconosciamo noi, slavate e potate di tutte le violenze raccontate nelle versioni originali: Giulia ha il coraggio di raccontare alla bimba le storie vere, dunque se le principesse sono stupidotte e i principi ancor di più, lo dice. Se le storie finiscono male perché un bambino muore, lo dice. Se vengono fatti a pezzi personaggi e Biancaneve vomita un pezzo di mela anziché venir risvegliata da un bacio, lo dice.

La cosa però non tarda a venir pubblicizzata a scuola dalla stessa Giulia che si è appena trasferita e ha scoperto un bel modo per farsi degli amici. Poi la narrazione si allarga a una mamma in fuga dal marito manesco e al collega di Giulia che ci prova ma non si capisce.

Commento: i bambini non sono mica così. Le descrizioni dei compagni di classe di Giulia secondo me sono troppo ingenue: non ce li vedo bambini di otto, nove anni a raccogliersi attorno a una loro coetanea perché racconta le favole vere. Mio figlio ha quasi otto anni, vedo i suoi amici, e continuo a dirmi che questi qui non lo farebbero mai. Secondo me purtroppo si sta già perdendo il senso del racconto: i bambini sono tutti presi da App e TV. Mio figlio adora “Hansel e Gretel cacciatori di streghe” e gli è piaciuto anche il film sulla vera Biancaneve, ma una cosa è vederli al cinema, un’altra cosa è farseli raccontare da una coetanea.

Altra faccenda poco probabile: la Gilda del Cerchietto, cioè il gruppo di bambine che prende di mira Rebecca. I bambini, quelli veri, non si schierano così. C’è qualcosa che non mi torna in queste ragazzine perfettine che vanno in giro per la scuola in cerca di ammiratori.

Anche la mamma di Rebecca è una plasticcona: parla poco e, per quanto esaurita dalla recente fuga dal marito, non trovo verosimile il comportamento che tiene nei confronti di Giulia quando scopre che ha raccontato le favole vere alla figlia, anche se è reduce da un incontro con la preside per colpa di queste storie. E’ il personaggio meno riuscito del romanzo.

Infine, lo stile. Il romanzo inizia con una lingua molto, molto ironica, sfacciatamente simpatica, sembra quasi spasimare per ammirazione; e ammetto che questa fantasia verbale (le battute, le similitudini, le metafore…) sono ben ingegnate, anche se alla lunga stancano. In realtà, non fanno in tempo a stancare perché da circa metà romanzo, non ce ne sono quasi più. Come se ci fosse stata una cesura. Mi si dirà: il cambio di registro è dovuto all’evolversi della storia, abbiamo una donna maltrattata dal marito, non si può far tanto i simpatici. Però il cambio di registro inizia prima, come se si fosse esaurita la spinta iniziale e ci si concentrasse ora più sulla fabula che sullo stile.

Barbara Fiorio conosce sì bene le fiabe, e di ciò gliene siamo grati, ma questo romanzo non finirà nella lista dei miei preferiti. La storia fila, ci sta, ma non mi convince del tutto.

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Manuale anti capricci – Elisabeth Pantley

Mi ci è voluto un po’ per leggerlo, perché, anche se io non sono mai contenta, io figlio non è proprio un capriccioso di carattere: basta farlo giocare e lui sta buono. Però questo manuale è utile perché, più che seguire un filo teoretico stretto, è adattabile ad ogni famiglia: fornisce un sacco di consigli praticissimi, e ognuno può scegliere quello che meglio si adatta alla propria famiglia (tutti i bambini sono diversi).

Quello che l’autrice sottolinea più volte è che il bambino è emozione allo stato puro, nel bene e nel male (a differenza di noi che le emozioni tendiamo a sotterrarle, per poi vedercele venir fuori come zombies quando meno lo vorremmo… ma questo lo dico io, non la Pantley). Dunque, se un bimbo si trascina attaccato al carrello del supermercato (se lo fa il mio lo decapito), non è un attacco al nostro ruolo, né una critica palese delle nostre capacità.
Bisogna sfruttare le capacità più sviluppate nel bambino, che sono quelle della fantasia e del gioco, per indirizzarlo verso certi comportamenti. Ad esempio, portando sempre con se un giochino quando si va a trovar gente adulta: non si può pretendere che un bimbo stia ad ascoltare seduto sul divano i nostri discorsi sulla crisi e sul miglior detersivo per pulire il bidet.

Ecco un paio di consigli per insegnare al bimbo come comportarsi al ristorante:
– insegnargli come si sta seduti a tavola già a casa
– abituarlo a stare più tempo a tavola, non solo per il tempo strettamente necessario per ingurgitare il cibo (intrattenerlo con giochi calmi o storie)
– ripetere le regole delle buone maniere prima di partire (usare la forchetta, star seduto senza urlare, pulirsi la bocca col tovagliolo… ecc).

Utile.

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Figli vegetariani, (dott.) Luciano Proietti

Ieri mia suocera mi ha detto che per mio figlio di sei anni è ancora troppo presto per togliergli la carne. Alle mie controragioni ha risposto: “Ma da dove le prende le proteine?”
Zio Billy. Pazienza lei che ha superato i settanta, ma è pieno di gente che non sa neanche a cosa servano le proteine, cosa siano e quante ce ne vogliamo, e tuttavia è terrorizzata di non assumerne abbastanza! 😦
Sempre ieri, una signora molto più giovane mi ha detto che doveva andare a lamentarsi con la maestra perché a scuola hanno insegnato che il latte della mucca serve al vitellino, e questo ha comportato delle difficoltà al momento della colazione mattutina con la bimba. Eh, non esiste un’alternativa al latte vaccino, no? Siamo nel terzo mondo dove si muore di fame, cavolo!!

Partiamo dal libro, che mi innervosisco meno.
Il taglio dato dal pediatra Proietti non è il solito, perché lascia anche molto spazio alla storia dell’alimentazione, spiegando le ragioni della situazione attuale.
Ad esempio, perché siamo così vogliosi di introdurre la carne nello svezzamento? Tutto risale alle origini dell’industrializzazione, quando le mamme dovevano andare a lavorare presto e lasciare il bimbo senza latte specie-specifico. Che succedeva? Che tanti piccoli morivano. Colpa della mancanza di ferro, questa è stata la spiegazione per decenni. E continua ad esserlo anche ora, che le mamme godono del diritto di allattamento e che potrebbero allattare i figli più a lungo senza fargli mancare nulla.

Altro dato interessante riguarda la lattasi sufficienza in base al colore della pelle e della latitudine: la lattasi deficienza era la “normalità” perché dopo una certa età è normale che i cuccioli umani non digeriscano più il latte. Ma andatevi a leggere nel libro cosa è successo quando le popolazioni si sono spostate dall’Africa ai paesi più nordici e hanno incominciato ad allevare animali. Vi riporto solo uno stralcio:

La pelle chiara al pari della lattasi sufficienza, facilita e incrementa l’assorbimento del calcio a livello intestinale. La pelle chiara consente ai raggi solari di penetrare attraverso lo strato più esterno della pelle e di convertire una particolare forma di colesterolo che si trova nell’epidermide in vitamina D3.

E perché i latti delle differenti specie sono diversi? Dipende da quanto succhia il cucciolo. Proietti riporta vari casi (che servirebbero tutti da risposta alla mamma che ho incontrato ieri e che aveva problemi con la maestra!!), ma questo è quello più interessante:

(…) quanto abbiamo detto finora può spiegare anche la curiosa “anomalia” rappresentata dall’assenza di lattosio nel latte dei mammiferi marini: infatti, il latte di foca, tricheco e leone marino è ricco di vitamina D e non ha bisogno del lattosio per incrementare l’assimilazione del calcio.

Mio marito dice che il cervello umano ha cominciato a svilupparsi quando abbiamo incominciato a mangiare carne. E sì, perché lui, allora, c’era… 😦
Questo o è uno dei miti che continuano a diffondersi. Ecco cosa dice Proietti:

“Si ritiene che il nutriente che determinò questo sviluppo non fu, come spesso si dice, il cibo proteico, cioè la carne, ma un grasso abbastanza raro che si trova per lo più negli ambienti marini: è un grasso polinsaturo a catena lunga (…) che noi oggi chiamiamo “Omega 3″.
Come fecero i nostri antenati ad assumere gli acidi grassi omega 3 a catena lunga? imparando a cibarsi di alghe, ricche di questo nutriente, o, forse, anche di molluschi e crostacei, di cui erano ricche le rive dei grandi laghi africani.”

E ricordiamoci che noi siamo primati, dunque frugivori, dovremmo mangiare frutta, radici, foglie, semi, alghe e saltuariamente qualche cibo animale (non dico formiche, come gli scimpanzé, ma insomma, non di certo due bistecche al giorno come suggerisce qualcuno).
Non è una dieta strettamente vegana che, come dice Proietti, è antifisiologica, ma ci siamo molto vicini.

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Genitori e nonni: alleati o rivali? – Vittoria Cesari Lusso

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Non un classico “saggio”: questo libro è più un’esperienza vissuta con tanti suggerimenti di buon senso. L’autrice ha certamente le carte in regola per occuparsi di psicologia grazie al suo lungo curriculum, ma ha scelto di dare al testo un taglio molto friendly, pieno di vita vissuta, sua e altrui: proprio questo vivere in prima persona le esperienze le ha permesso di mettere il coltello nella piaga quando serve.

Qui vorrei parlare di un paio di punti.

Innanzitutto, la differenza tra emozioni e sentimenti. Le emozioni innescano reazioni praticamente automatiche, e durano finché lo stimolo è attivo. I sentimenti “invece sono legami affettivi che si sviluppano nel tempo (…). Il sentimento è uno status, l’emozione è momento acuto. I sentimenti si possono dissimulare, le emozioni no.”

Ma soprattutto:

Sul piano delle relazioni umane le emozioni sembrano oggi più in auge dei sentimenti. La ricerca di continui stimoli emotivi prevale sull’investimento in legami a più lungo termine.

Quando ho letto queste righe mi sono subito venuti in mente alcuni conoscenti…
Coi figli si parla inevitabilmente di sentimenti. Ma spesso vedo coppie nascere sulla base delle pure emozioni: niente di male in ciò, se si fosse consapevoli dello stato in cui ci si trova. Forse vado fuori tema ma mi pare che sempre più gente cerchi di deresponsabilizzarsi, di dare LA COLPA AGLI ALTRI (che siano i suoceri, i nonni, il partner) della situazione che si sta vivendo.

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L’ora dei compiti – Angelica Moè e Gianna Friso

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Forse non è proprio il libro giusto, perché mio figlio ha iniziato la scuola da un mese e mezzo, mentre questo saggio è dedicato a bambini un po’ più grandi, ma credo non sia mai tardi per prepararsi.
Se non altro, è un testo positivo: questo è il problema, queste sono le possibili soluzioni (aperte e personalizzabili). Sarebbe molto più difficile per me regolarmi inseguendo i consigli o le lamentele delle mamme che conosco, anche perché quelle che si fanno sentire di più di solito sono quelle che hanno avuto brutte esperienze: bimbi che non vogliono saperne di compiti, TV perennemente accese, votacci e note…

I perni attorno cui ruota il libro sono l’autonomia e la motivazione.
Hai detto niente…
Mentre sto accanto a Leo, cercando di convincerlo a fare il dettato delle sillabe e chiedendomi come mai non si ricorda come è fatta la T e perché confonde la PI con la LI, provo a ricordarmi come ero io alla sua età.
Mettiamo in chiaro le cose: se adesso mi leggo un libro a settimana e vado in paranoia quando sono in coda alle poste senza carta stampata in mano, in prima elementare a livello di lettura ero una delle peggio.
Il maestro ci diceva di leggere i raccontini, e io a casa non lo facevo mai. I miei non se ne sono mai preoccupati e io non raccontavo mai che, nelle letture di gruppo, ero sempre quella che restava indietro a urlare: “Aspettatemiiiiii!” mentre le altre continuavano imperterrite a leggere seguendo le righe con gli indici sulle pagine (bastarde…).
No problem, le ho raggiunte.

La cosa importante, ora, con mio figlio, è farlo diventare autonomo, fargli acquisire un metodo di studio. Come?
In concreto non l’ho ancora capito.

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