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Pastorale americana – Philip Roth @CasaLettori

Nathan Zuckerman, l’alter ego di Philip Roth che ritroviamo anche in altri romanzi, da giovane è stato un fan silenzioso dello Svedese, un giovane ebreo bello, bravo, gentile, benestante. Per Zuckerman e per molti altri, lui era un modello da imitare: per anni ed anni Zuckerman è vissuto col ricordo di un episodio in cui lo Svedese, semplicemente, gli ha rivolto la parola, tirandolo fuori dal limbo dell’inesistenza in cui vivacchiava.

Per questo, quando, ormai sessantenne e con un’operazione alla prostata alle spalle, riceve una lettera dello Svedese in cui gli chiede di incontrarlo, Zuckerman va in fibrillazione. Nella lettera il suo idolo gli ha anticipato che vuole parlargli di alcuni fatti che hanno amareggiato la vita al padre, ma quando si incontrano, al ristorante, nessuno dei due trova il coraggio per entrare in argomento.

Solo qualche mese dopo Zuckerman viene a scoprire che lo Svedese è morto di tumore. E’ il fratello dello Svedese, a raccontarglielo e ad accennargli del dramma che aveva sconvolto la sua famiglia: l’amatissima figlia, lasciatasi trascinare dall’odio contro la guerra nel Vietnam, aveva messo una bomba in un ufficio postale uccidendo una persona innocente.

Ma la trama, come in tutti i libri di Roth, è solo una scusa: i temi vanno al di là degli atti di terrorismo. Qui si parla di America, del sogno americano e della delusione che questo sogno ha causato. Si parla di concorsi di bellezza e di baseball, delle aspettative e dei problemi che ne derivano; si parla di ricerca di senso nella religione e nella morale; si parla di incomunicabilità all’interno della famiglia e della cerchia degli amici più stretti; si parla dell’impossibilità di conoscere davvero un essere umano; e si parla dell’America.

Philip Roth, come i suoi personaggi, si è sempre sentito americano: ebreo sì, ma integrato, e felice di vivere nel suo paese. Ciò non gli ha impedito (e non ha impedito ai suoi personaggi) di accorgersi delle contraddizioni: del razzismo, ad esempio, strisciante o apertamente dichiarato; ma anche dell’incapacità di trovare un senso nel benessere materiale.

Una volta gli ebrei cercavano di sfuggire all’oppressione; adesso scappano da dove l’oppressione non esiste. Una volta scappavano perché erano poveri; adesso scappano perché sono ricchi.

Prendiamo lo Svedese: visto dall’esterno aveva tutto ciò che un americano può desiderare per sentirsi soddisfatto, a partire dall’azienda bene avviata, fino alla moglie ex reginetta di bellezza. Si è sempre dato da fare, si è sempre sentito responsabile per la famiglia e l’azienda e il suo paese, è sempre stato attento a non offendere chicchessia; eppure, gli capita questa mazzata tra capo e collo.

E chi è il colpevole? Lo Svedese analizza tutta la sua vita, quasi giorno per giorno, in cerca del suo peccato originale, ma non c’è niente che possa essere considerato come la causa scatenante delle sue disgrazie. E di questa mancanza di una ragione lui non riesce a capacitarsi.

Eppure, nell’occhio del ciclone, ancora si sforza per tenere insieme i cocci:

Sua figlia era una folle assassina che si nascondeva sul pavimento di una stanza di Newark, sua moglie aveva un amante che fingeva di scoparla sopra il lavandino della cucina, la sua ex amante aveva portato coscientemente la sua famiglia al disastro e lui stava cercando d’ingraziarsi suo padre spaccando il capello in quattro.

La visione generale è cupa, è vero, ma Roth non cerca soluzioni. Il romanzo stesso termina senza aver chiuso tutti i fili narrativi (ad esempio manca tutta la storia dello Svedese con la seconda moglie, e non si sa nulla di come finisce davvero la figlia).

Perché mi è dunque piaciuto questo romanzo?

Innanzitutto per la prosa così ricca, mai banale. E poi perché ad ogni riga c’è una piccola verità: tanti, tanti dettagli, sia psicologici che ambientali. Pastorale Americana è un quadro che puoi restare a osservare per ore, scoprendo sempre qualcosa che non avevi notato prima.

I dettagli sono così tanti che è impossibile non trovarne alcuni che si adattano alla tua vita.

Alla fine dici: bè, sì, anche io sono un po’ Svedese. O sono un po’ sua moglie, o sua figlia, o suo padre. O mio padre è come suo padre, o la mia vicina di casa è come sua figlia, o, o…

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I piedi della concubina, Kathryn Harrison

(English version: below)

Che bello questo libro! Strano che nella rete se ne parli così poco.

La storia è raccontata su diversi livelli temporali con molti flash-back e sebbene ci sia una protagonista principale, la cinese May, attorno a lei ruotano molti altri personaggi, di quelli che piacciono a me, strani, diversi, ma mai macchiettistici.

May appartiene a una famiglia cinese facoltosa e come di consueto, a cinque anni incominciano a fasciarle i piedi. Lo fa sua nonna, perché sua madre non ne ha il coraggio. E’ una procedura dolorosa, che causa piaghe, rottura delle ossa, calli, infezioni continue, e che le condizionerà tutta la vita, in tutti i suoi aspetti.

Grazie (!??) ai suoi piedini di loto, May va in sposa a un ricco mercante. Il matrimonio, fin dalle nozze, si rivela molto diverso da come se lo aspettava: intanto, scopre di essere solo la quarta moglie, e poi il mercante, oltre a non consumare il matrimonio, la picchia perché lei si ribella. I tentativi di suicidio vanno a vuoto, e allora May scappa.

Ma lo fa in modo intelligente: va a lavorare in un bordello ma si concede solo agli occidentali, e, rinnegando tutta quella che è stata la sua vita precedente, impara benissimo l’inglese e il francese.

Finché Arthur, un australiano ricco ma inconcludente, si innamora di lei e la sposa. Così May entra a far parte della famiglia Cohen-Benedict. Si attaccherà moltissimo alla nipote Alice, alla quale trasmetterà a sua insofferenza per le regole. I soldi non mancano perché il cognato Dick specula sulla guerra.

Nel passato di May c’è una figlia che lei non ha più visto, e che ad un certo punto si mette a cercare. La troverà, zoppa, e la causa della sua infermità ci fa capire quanto May sia una donna ferita che, nonostante le apparenze, la bellezza e la cultura, non riesce a guarire.

Drammi ne abbiamo?

In abbondanza.

La storia si snoda tra Shanghai, la Transiberiana e Nizza.

Potete immaginare com’era Shanghai durante l’epidemia di spagnola, quando le fabbriche di chiodi chiudevano per mancanza di operai e non si potevano serrare le bare?

Potete immaginare come reagiscono i clienti di una rinomata pasticceria inglese quando una cinese entra con una portantina sostenuta da due semi-schiavi?

Avete un’idea di come erano le protesi dentarie negli Stati Uniti agli inizi del Novecento?

Questo romanzo è stupendo: la storia, la scrittura, la ricerca che c’è sotto. Assolutamente consigliato.

Se proprio devo trovare un difetto, lo vedo nel titolo: non c’è nessuna concubina, qui. May fa la moglie, la prostituta, la moglie e poi la vedova. Qui ci si è messa di mezzo la pruderie italiana. Guarda a cosa ci si è ridotti per tentare di vendere un libro in più.


What a wonderful book! Strange, that you find so few reviews in internet.

The story rolls among several temporary levels with a lot of flash-backs; although there is a main carachter, May, there are also many other carachters who are strange (the kind I like most), but never silly.

May belongs to a rich Chinese family and at 5 years old she got her feet swaddled. The operation is cause of broken bones, infections, callus, sores, and will limit her walk and her Whole life.

Thanks (?!?) to her lotus feet, May get married to a rich merchant, but the union is very different from the idea she had in her mind. First of all, she finds out that she is only the 4th bride. Secondly, her husband is violent and will not give her a child. May is rebel, and often got humiliated and beated. She tries several times to kill herself, but at the end she decides to escape.

She lands in a brothel, where she accepts only occidental clients and learn English and French. An inconclusive but rich australian man falls in love with her and marries her. As a result, she enters his family, where she binds herself to the nephew Alice, who is nearly as rebel as her.

May’s life hides a secret: a daughter, whom she “lost” when she was Young and whom she manages to meet again 24 year later. She is lame: why? When you find out the reason of this handicap, you will understand how May is a wounded woman who cannot heal.

Yes, I like tragedies books, and here you find many of them. For instance: Shanghai during the spanish influence, when the nail industries had not enough workers, because they were falling like flies, and therefore there was no way to close coffins…

There is a defect, in this book: the title. “The feet of the concubine” is the italian title, whereas there is no concubine in the story… the English title is “The binding chair”, recalling May’s difficulties in walking.

A great pity that Italian publishers must mangle titles in this way, because, without pruderie, italian readers don’t read…

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