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Cleopatra – Joachim Brambach

Sapete perché ogni tanto leggo libri storici? Per ricordarmi che gli esseri umani sono sempre gli stessi, e dunque è inutile arrabbiarsi quando qualcuno cerca di passarti sopra come un TIR.

Sapete perché non leggo libro storici troppo spesso? Perché mi ci arrabbio lo stesso…

Guardiamo i giorni nostri: se i parenti non si avvelenano e strozzano e pugnalano fra loro come facevano i Tolomei, è solo perché non sono Tolomei, e non godono di alte probabilità di farla franca. Molti assassinii non vengono perpetrati solo per paura della punizione, non per remore morali. Per noi è più facile togliere la parola a uno zio per via di un’eredità o rovinare la reputazione di un amico parlandone male alle spalle.

Gli ammazzamenti di figli, genitori, fratelli non sono prerogative dei monarchi orientali: anche noi abbiamo avuto i nostri. E’ stato Ottaviano a uccidere Cesarione, il figlio di Cesare e Cleopatra, e Ottaviano (l’Augusto) era romano. Non parliamo poi dei Borgia…

Cos’altro ci insegna la storia? Che la religione viene sempre sfruttata a fini di potere: Cleopatra e, prima di lei, Alessandro Magno lo avevano capito benissimo: siamo noi, nel 2019, che siamo ancora convinti che la Religione sia Buona e l’ateismo cattivo.

Un’altra lezione dalla storia? Certo: è che non sappiamo quasi niente. Pensate alla relazione tra Cleopatra ed Antonio. Cosa vi viene in mente? Liz Taylor e Richard Burton, immagino. Amore romantico, drammatico, tragico… Bè, dimenticate tutto.

Se c’è uno che ha rischiato di più nel suo rapporto con Cleopatra, è stato Cesare, che ha compiuto alcuni atti sconsiderati durante la relazione. Antonio, invece, era molto meno succube della regina egiziana, sebbene ne fosse affascinato.

Di lei, poi, quando la sua faccia non si sovrappone a quella della Taylor, abbiamo un’immagine da sovrana orientale onnipotente, capricciosa e sanguinaria.

Tutto vero?

Non proprio: la storia la raccontano i vincitori. Gli storici antichi dovevano far passare un’idea del genere, perché Ottaviano l’aveva sfruttata per attaccare Antonio, suo rivale nell’ascesa all’Impero. Antonio era ancora molto amato dal popolo e Ottaviano avrebbe perso in popolarità se lo avesse affrontato di petto: meglio farlo passare come la vittima succube della perfida regina orientale.

Ah: come è morta Cleopatra?

Suicidio con il serpente velenoso, vero?

No, falso.

In realtà, non si sa.

Sì, lo so che l’immagine della donna disperata per l’amante morto fa audience, ma non ci sono prove che lei si sia suicidata con l’aspide.

Dopo la morte di Antonio, lei rimane tredici giorni prigioniera di Ottaviano. Si sapeva che aveva tendenze suicide: una regina di quel calibro non avrebbe accettato di sfilare sulle strade romane in veste di bottino di guerra di Ottaviano. Tuttavia, neanche l’Augusto ci avrebbe guadagnato molto a far sfilare una donna (si dice) annienta e disfatta dal dolore: il popolo ne avrebbe provato pietà, e tutta la pubblicità negativa di Ottaviano sarebbe scoppiata come una bolla di sapone.

Diciamo che Ottaviano Augusto non ha fatto poi molto per evitarne il suicidio (se suicidio c’è stato). Sarebbe bastato metterle qualcuno alle costole a tenerla d’occhio…

Machiavelli non ha inventato niente.

E neanche Berlusconi.

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Papillon – Henri Charrière

Dialogo con me stessa:

– Noioso.

– Come “noioso”? Papillon? Ma se è un susseguirsi incredibile di azione e colpi di scena! Dove sei arrivata a leggere?

– Al punto in cui i tre evasi salutano i lebbrosi che li hanno aiutati dando loro un po’ delle loro misere cose.

– E hai visto che orripilante descrizione della malattia? Che onorevole comportamento dei malati?

– Sì, ma la scena è descritta in modo troppo colloquiale.

– E che mi dici dell’ingiustizia e delle fantasie di vendetta di Papillon appena condannato per un omicidio non commesso?

– Mi sembrano le fantasie morbose di uno che si è improvvisato scrittore senza esserlo. Senza contare il fatto che non era uno stinco di santo, apparteneva comunque alla malavita, era normale per lui maneggiare coltelli e derubare a destra e a manca. E poi: come facciamo a sapere che quello che ci racconta è davvero successo come dice?

– Il suo primo editore garantisce per lui.

– E ne ha tutto l’interesse: devono vendere! Bah, per me questo Papillon è un furbone che ha avuto sì una vita avventurosa, ma che ci ha marciato, perché ha capito che coi libri poteva tirar su un po’ di soldi.

– E quando Papillon si infila due tubi nell’ano per tenere nascosti i soldi, suoi e di un amico?

– Bah.

– Ma non puoi definire noioso questo libro! E’ pieno di malviventi, di traditori, di amici sinceri, passioni spinte al limite…

– Tutti elementi che sussistono nella vita di molti personaggi di altri libri. Quello che manca qui, secondo me, è lo stile. Lo stile dello scrittore di mestiere. Quello che uno si costruisce con anni e anni di scrittura. Senza questo, una bella storia resta una bella storia, ma la apprezzo di più in TV o al cinema. Non venitemi a parlare di letteratura orale. Non venite a dirmi che anche le storie di Omero erano “raccontate”. E’ vero, ma loro hanno la dignità dei millenni e non hanno lo scopo di far su un po’ di soldi dopo un rovescio finanziario.

– Ti fai influenzare da elementi esterni al libro. Bah… fai un po’ come ti pare.

– Infatti. Sospeso a p. 109 (su 645).

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Vegan, le città di Dio, Remo Bassini

Tranquilli, non vi stresserò dicendovi quanto male vi fanno carni e latticini: lo sapete già, fate un po’ quel che volete.

Questo è un romanzo: un giallo.

Incentrato sull’alimentazione vegana?

Mmh, non direi. O meglio: sì, si parla molto di questa scelta alimentare, ma si parla anche di altro (ascorbato di Potassio, Gerson, aria pulita, biologico, carabinieri, servizi segreti, cura del cancro, amore…)

Tutto gira attorno ad Adriano Bronzelli, un padre di famiglia che, ad un certo punto della sua vita, molla moglie e figlio e va a vivere in riva a un fiume. Apre un blog (lui che è contrario alla tecnologia in generale), dove parla di alimentazione sana e di medicina naturale. Diventa anche guaritore.

Un matto, insomma, un fol, come lo chiamano i suoi compaesani. Uno da non prendere sul serio.

O no?

Perché sembra che il suo blog inneggi alla lotta armata, che sia il fulcro attorno cui ruota una rete di anarchici vegani; sembra che le città di Dio non siano quell’oasi di pace e serenità che si vuol far credere.

Poi, una sera, Adriano Bronzelli muore.

Di infarto.

O no?

Il figlio, in seguito ad un incontro alquanto misterioso che gli mette la pulce nell’orecchio, decide di approfondire le circostanze della morte del padre e per farlo incarica l’investigatrice privata Anna Antichi.

Eccola qui la protagonista del nostro Bassini: stavolta è una donna, è vero, ma ci ripropone tutte le ombre “care” alla scrittura dell’autore. Tormentata, insonne, reduce dal lettino dello psicologo, con le pasticche e le sigarette sempre a portata di mano. Sola.

Attraverso tesi complottistiche, hacker, multinazionali sospette e mogli tradite, Anna Antichi riesce a capire cosa è successo quella notte disgraziata. Ma non vi dirò altro: solo che siamo in Italia, che Bassini è un giornalista che conosce i suoi “bastardi posti”, e che le cose cambiano senza cambiare mai del tutto.

Lo stile di Bassini è tutto suo: questo è il quarto suo libro che leggo, e ormai mi sono famigliari i suoi “E comunque (puntato)” all’inizio del paragrafo, i soggetti alla fine della frase e i personaggi tabacco-dipendenti. Messi insieme, i suoi romanzi sembrano parlare tutti dello stesso luogo, anche se cambiano i protagonisti: un bastardo posto, appunto, come dice il titolo di un altro suo romanzo.

Ma questo libro è perfetto per inquadrare il fenomeno vegano/salutista, e per mostrare quanto fastidio danno le terapie alternative.

Beh… dai, i vegani oltranzisti danno un po’ fastidio anche a me, che sono una vegana ormai abbastanza tollerante. Ecco come li descrive Bassini:

(…) parla sempre e solo di alimentazione, di multinazionali. E’ un invasato.

Un po’ di equilibrio a volte non fa male.

ps: ah, tanto perché non abbassiate mai la guardia, ricordatevi che la carne non solo vi alza il colesterolo (soprattutto quello cattivo), ma che vi manda in palla anche il sistema ormonale, aumentando le vostre probabilità di incorrere in malattie cardiovascolari e tumorali. I latticini invece…  ok, ok, mi fermo qui. Fate un po’ quello che volete.

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Grottesco, Patrick McGrath

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Quanto scrive bene Patrick Mcgrath! Un grande autore, non solo per l’eleganza dello stile ma anche per la moltitudine delle sfaccettature che imprime ai suoi romanzi.

In questo, Sir Coal ci racconta del suo rapporto col maggiordomo. Lo giudica infido, approfittatore, pervertito, e alla fine, ovviamente, anche assassino. Ma attenzione, perché Sir Coal “parla” dallo stato vegetativo, bloccato su una carrozzina allo stato larvale, incapace di muoversi ed esprimersi. Secondo medici e familiari (salvo l’eccezione della figlia Cleo), è ontologicamente morto.

E’ un punto di vista molto particolare, il suo, perché certi avvenimenti può solo immaginarseli; eppure, noi vediamo con gli occhi della sua fantasia non solo la moglie che gli mette le corna con Fledge, il maggiordomo, ma anche il suo giardiniere George che viene processato, condannato e giustiziato per un omicidio che non ha commesso.

Alla fine, si resta col dubbio: quanto era affidabile questo narratore di cui sembra di sentire la voce rauca e maliziosa? Questo gentiluomo  misantropo, paternalistico, sprezzante e maligno? Questo pseudo-paleontologo che non ha alcun interesse per l’umanità, perché l’ha sostituito con la passione morbosa e onnicomprensiva per le ossa di un dinosauro che ha scoperto venti o trent’anni prima?

E soprattutto: in questo romanzo, di chi bisogna prendere le parti? Non c’è nessun personaggio in cui sia decentemente possibile immedesimarsi. E’ un romanzo senza eroi, dove la vittima predestinata non è il giovane fidanzato di Cleo, trovato morto nella palude e dato in pasto ai maiali (che poi sono stati mangiati più o meno da tutto il villaggio), ma la VERITA’, che resta una chimera irraggiungibile.

E allora cos’è grottesco? Un rospo che mangia larve sul tavolo apparecchiato mentre il maggiordomo attende ordini alle spalle del padrone, o un uomo che per tutta la vita ha controllato i propri sentimenti fino al punto di seccarli del tutto?

(…) per non piangere in pubblico io mi sono allenato a lungo, col risultato che adesso l’unico mezzo che ho per comunicare al mondo che sono mentalmente vivo e riesco a provare delle emozioni, ecco, non posso usarlo. Non posso usarlo perché ormai è impossibile spezzare quell’abitudine all’autocontrollo coltivata tutta una vita.

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