Londra, 1920.
Soames Forsyte ha una figlia che adora, Fleur. Fleur si innamora di un lontano cugino, Jon, ma la loro storia è impossibile: la madre di Jon vent’anni prima è stata sposata, senza amore, con Soames Forsyte, e dopo pochi anni lo ha abbandonato per andarsene con un altro.
I due giovani non sanno di questa storia ma intuiscono che qualcosa non va nei rapporti tra le rispettive famiglie.
Sarà il passato a decidere del loro rapporto, perché certi scandali non si perdonano neanche a decenni di distanza.
A noi, oggi, un impedimento del genere fa sorridere: Jon rinuncia a Fleur solo perché il padre di lei, molto tempo prima, ha posseduto la madre di lui come fosse stata una proprietà? Perché non ha voluto concederle il divorzio? Perché l’ha costretta a tradirlo? Ma dai…!
Credo che il nocciolo di tutto stia proprio nel concetto di proprietà, che, per la famiglia Forsyte, si applica sia alle case che alle persone.
In questo romanzo non ho trovato nessun personaggio che sia davvero positivo: non Soames, che brama ricchezze e persone; non Fleur, che – forse – porta in sé l’avidità del padre; non Irene, che alla fine lascia che il figlio rinunci a Fleur pur di non riallacciare i rapporti con l’ex marito; non Jon, che cede alla forza “maggiore”. E nessuno degli altri parenti e amici che gravitano attorno alla famiglia, tutti tesi nel silenzio, quando sarebbe stato molto più semplice informare i giovani fin dall’inizio per evitare complicazioni.
Perché dico che Fleur forse porta in sé l’avidità del padre? Perché c’è una parte del romanzo in cui so parla dell’idea fissa:
L’idea fissa, che più di ogni altra forma degenerativa dell’umana natura ha dato luogo a disordini e delitti, non è mai tanto temibile come quando assume la maschera della frenesia amorosa. L’idea fissa dell’amore non fa caso a nulla, né a cancelli, né a porte, né a fossati, né agli esseri posseduti da altre idee fisse, né a coloro che soffrono del medesimo male. (…) Fleur era diventata indifferente a ogni cosa. Non desiderava che l’inafferrabile.
Questo suo volere Jon, soprattutto dopo aver scoperto che era meglio lasciarlo stare, è uno specchio del comportamento del padre, che anni prima si era affannato a volere la madre di lui sebbene Irene non lo amasse. Non si vede amore incondizionato, qui, solo voglia di possedere qualcosa (qualcuno) che non si può possedere.
E’ un romanzo molto radicato nella società dell’alta borghesia inglese del Novecento, eppure, questa insistenza sulla falsità di certi sentimenti è ancora attuale. Non ci deve essere necessariamente malafede: Fleur non è consapevole dei suoi sentimenti come poteva esserlo suo padre davanti al netto rifiuto di Irene.
Tuttavia, alla base degli errori di questi personaggi (errori che si ripercuotono negli anni) c’è una generale incomprensione dei sentimenti più nobili.
Autocensura o mancanza di autoconsapevolezza?
La risposta ha un valore relativo, se la cerchiamo per i personaggi del romanzo.
Assume invece un’importanza vitale se la cerchiamo per noi stessi.