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La ferocia (Nicola Lagioia)

Un pugno nello stomaco durato cinque giorni, il tempo di lettura di questo romanzo, Premio Strega 2015.

E’ la storia della famiglia Salvemini: il padre, Vittorio, sempre occupato a mandare avanti i suoi affari milionari in Puglia e nel mondo; la moglie Annamaria, che ha accettato le scappatelle del marito perché le fa comunque fare la bella vita; il figlio maggiore, Ruggero, vicedirettore di un centro oncologico di prestigio; la figlia minore, Gioia, che vive di tweet e superficialità.

E poi ci sono loro, i due figli “diversi”: Clara, bellissima ma insondabile, e Michele, che in realtà è il figlio di un’amante del padre, morta di parto. I due riescono a costruire un rapporto tra loro che va al di là delle facciate, ma che la famiglia vede in cattiva luce.

Clara e Michele sono gli unici che si parlano e si capiscono anche senza parlare. Gli altri componenti della famiglia, più che da sentimenti ed emozioni, sono legati da firme e convenienza. Ma questo non lo scopriamo subito.

Il romanzo inizia con Clara che cammina in mezzo alla strada: è nuda e ricoperta di sangue.

Da dove viene? Dove sta andando? Cosa le succederà dopo che sarà investita da un camion?

E perché l’uomo che l’ha investita e che ha perso una gamba nell’incidente si è ritrovato, all’improvviso, ricco e coccolato da gente appena incontrata?

Il romanzo è un pugno nello stomaco perché in questa pletora di maneggiamenti, sono tutti coinvolti in affari loschi: il sistema è così impregnato di melma che quando qualcuno, alla fine, cerca di fare una denuncia, la persona addetta a ricevere la dichiarazione gli chiede più e più volte: ma sei sicuro? Ma hai capito bene cosa succederà se questa storia salta fuori?

Ogni rapporto personale è sporco.

Si salvano, per un po’, Michele e Clara, ma lo stato di grazia dura finché stanno insieme: quando si allontanano l’uno dall’altra (il servizio di leva, un corso di inglese all’estero), la diga si rompe e anche il loro rapporto ne viene investito.

Lungo tutto il romanzo, c’è, tra gli altri, un filo rosso: il tema della vittima e dei carnefici.

Sembra che le vittime siano Clara e Michele, ma fino a che punto sono coinvolte nel rendersi tali? A chi si riferisce Michele quando dice che “vanno fermati”? A coloro i quali vogliono sporcare tutto o a coloro i quali si lasciano sporcare?

E’ la tigre che crea l’agnello o è l’agnello che crea la tigre?

La risposta penso di averla trovata nella figura della gatta di Michele: era attaccatissimo a questo animale. Se l’era portato da Roma fino a casa dei genitori, ma la micia scappa e non si trova più. Michele se la immagina investita dalle auto o aggredita dagli enormi topi di fogna che infestano certe zone.

Invece la gatta, pur abituata a vivere tra quattro mura, una volta di fronte al pericolo, mostra risorse insperate.

Così come farà Michele, considerato il più debole, ricoverato in un ospedale psichiatrico, ostracizzato da parenti e amici, senza un lavoro fisso.

Ma il pugno nello stomaco continua a far male anche dopo che hai chiuso il libro perché pensi al sistema di bustarelle e connivenze e favori personali che porta a certi scempi ambientali nei paesaggi più belli d’Italia.

Questo è il primo romanzo che leggo di Lagioia: ha uno stile molto ricercato (a volte anche un po’ troppo), una ammirevole capacità di creare immagini esclusive e di mantenere un registro molto alto per 410 pagine.

Non è un libro da spiaggia. Molte similitudini e figure retoriche vanno assimilate con calma, senza le grida di bambini che giocano nell’acqua, senza la voce roca del venditore di cocco. Figure come questa:

La lingua non tradotta del futuro imminente gonfia le pareti.

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La trama della vita – Jerome Kagan

Genetica o ambiente?

Ecco di cosa tratta questo saggio di Kagan. Genetica e ambiente sono due fili che si intrecciano fino a dar vita a un tessuto il cui colore è una cosa diversa da quello dei fili che lo compongono: i fili possono essere bianchi e neri, ma il tessuto finale sarà grigio. Ecco perché è così difficile capire da cosa derivano alcuni tratti del nostro carattere: perché predisposizione e cultura sono così ben intrecciati tra loro da perdere la loro identità originaria.

L’influenza dell’ambiente comincia a farsi sentire già dentro alla pancia della mamma:

(…) alcune madri canadesi che nel 1998 erano state esposte a una violenta tempesta di ghiaccio quando si trovavano nel secondo trimestre di gravidanza ebbero maggior probabilità di dare alla luce bambini che presentavano impronte digitali diverse sulle dita corrispondenti delle due mani: un segno di sviluppo disturbato che si riscontra con frequenza in adulti affetti da schizofrenia.

Ma non tutti quei bambini sono diventati schizofrenici da adulti!! (Per la cronaca, la differenza nelle impronte digitali delle due mani ce l’ho pure io…)

La predisposizione però, sebbene non ci possa aiutare nel prevedere come si svilupperà un certo bambino, ci può dire con un buon grado di certezza cosa quel bambino NON diventerà: è raro, se non impossibile, che una personalità sensibile e ipereccitabile (carattere dovuto a una certa conformazione del cervello presente fin dalla nascita) da adulto diventi estroversa ed espansiva.

Kagan scende molto nel dettaglio dell’analisi sia dei fattori genetici (tipi temperamentali, segni biologici, reattività), sia dei fattori ambientali (pedigree familiare, ordine di nascita tra fratelli, classe sociale, etnia, dimensioni della comunità, periodo storico, sesso…).

Vi dirò: per i miei scopi, è sceso anche troppo nel dettaglio. Nonostante alcuni paragrafi fossero interessanti, e anche se ho apprezzato molto i suoi commenti sull’impossibilità di sfruttare la scienza per indirizzare moralmente certe scelte, alla fine il succo di tutto è che genetica e ambiente si mescolano, si mescolano, si mescolano.

Un colpo al cuore me l’ha l’epigenetica: certi eventi significativi nella vita di una persona possono modificare l’espressione genica. E i geni così modificati possono essere trasmessi alla prole.

Dunque, mai dare niente per scontato.

Niente è immodificabile (buddhismo a manetta).

Questo ci dà sempre speranza, ma anche più responsabilità.

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Con entusiasmo – Ludovico Ferro

imageL’argomento sindacati non è tra i miei preferiti ma questo libretto si legge in un’oretta (e mezza, se c’è un settenne che ti rompe le scatole): l’approccio molto personale dell’autore, non scevro da qualche termine da videogame, ti fa andare avanti pagina dopo pagina. E poi, parla del territorio in cui vivo…

Il sottotitolo dice molto: Interviste, colloqui, riflessioni sull’agroalimentare veneto. Si parte dunque da una serie di interviste ai dirigenti sindacali territoriali della Cisl/Fai (agroalimentare e ambiente), e lo scopo è sedimentare la memoria. Viene presentato ogni dirigente e viene presentata una sintetica carrellata dei problemi e dei punti di forza di ogni territorio, come se si trattasse dei piatti di un pasto.

Si parla di crisi, che nel settore non è ancora molto sentita, di rapporti con la politica, che a questo livello sono quasi inesistenti, dei rapporti con le altre confederazioni, di fusioni tra territori…

Insomma, per una come me che non si intende di sindacati (e che non li ha sempre in simpatia), è una buona introduzione. Tanto più che l’approccio sociologico/neutrale dell’autore traspare dalle metafore usate, più dense di significato di quello che potrebbero permettersi in una pubblicazione che dovrebbe, o quasi, essere di parte (e infatti questo a me è piaciuto).

L’ultima riflessione riguarda il sindacalismo nel suo insieme e la difficoltà di entrare nelle piccole imprese. E te credo. Chi si prende la briga di far entrare un sindacato in un’azienda di pochi dipendenti, dove i titolari ti guardano negli occhi ogni volta che passi davanti al loro ufficio? Nell’agroalimentare il numero dei tesserati negli anni analizzati dallo studio è aumentato, ma i numeri non dicono molto (ad esempio grandi entrate di tesserati si hanno in casi di crisi aziendale, quando c’è bisogno di qualcuno che spalleggi i lavoratori contro i… paroni). Le piccole aziende restano un osso duro. E con la crisi o con quella che vogliono far passare per crisi, lo sono ancora di più, anche se la crisi riguarda gli altri.

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