La Russia è lontana. L’Ottocento è lontano.
Forse è per questo che non mi sono appassionata a questo romanzo.
Turgenev è un bravo scrittore: in poche pennellate ti descrive un villaggio e in poche frasi ti fa capire il carattere di un personaggio. E riesce anche a ben dipingere i contrasti che incontrano le diverse generazioni quando sono messe a confronto.
Tuttavia, non sono riuscita a farmi piacere i personaggi femminili: soprattutto le madri, tutte in sollucchero per questi figli (maschi!), timorose di chiedere loro cosa vogliono mangiare per paura di disturbarli. Donne tutte dedite alla famiglia: monotematiche.
Mentre Arkadij, Bazarov, i loro padri, Pavel Petrovic e perfino i personaggi maschili secondari, invece, sono sfaccettati. Interessanti.
Ho come l’impressione che Turgenev, per quanto fosse un bravo romanziere, delle donne avesse un’idea abbastanza stereotipata.
Bazarov è insopportabile.
La fissa del nichilismo si chiama nichilismo in questo romanzo, e si chiama “voglio una vita spericolata” ai giorni nostri.
Un paio di sberle ci stavano bene allora, come ci starebbero bene oggi.