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Autobiografia di mia madre (Jamaica Kincaid)

Jamaica Kincaid (vero nome Elaine Potter Richardson) è nata nel 1949 nell’isola caraibica di Antigua e si è trasferita nel 1996 a New York dove ha svolto vari lavori. Nel 1976 entra nel giro del New Yorker e da lì inizia la sua carriera di scrittrice.

Quello che mi ha colpito di più di questo libro è lo stile: personalissimo, mai visto niente di simile prima.

Xuela è la protagonista: sua madre muore nel darla alla luce.

Mia madre è morta nel momento in cui nascevo, e così per tutta la mia vita non c’è mai stato nulla fra me e l’eternità; alle mie spalle soffiava sempre un vento nero e desolato.

Suo padre è un poliziotto che approfitta della sua posizione per depredare poveracci: è un uomo insondabile, di cui Xuela non riesce mai a carpire i pensieri, ma è l’unico genitore che le è rimasto e lei nutre verso di lui una curiosità non scevra da giudizi.

La pelle di mio padre era del colore della corruzione.

Xuela vive sulla propria pelle la crepa esistente tra i colonialisti e gli indigeni, tra i vincitori e i vinti, ma lei non si lascia irretire dai rapporti di potere e si concentra su se stessa e le sue forze.

Quando il padre si risposa, la matrigna cerca di ucciderla con un incantesimo (la magia e gli spiriti sono dati per scontati, in questo romanzo), e l’odio che prova per quella donna è molto più forte dell’amore che prova nei confronti del padre.

Viene mandata in città a studiare e alloggia presso un amico del padre che si approfitta della sua ingenuità fino a lasciarla incinta. Xuela va ad abortire di nascosto (lo farà molte volte) perché non vuole figli (non li vorrà neanche una volta sposata).

Quando riesce a sposare Philip, un inglese discendente dei colonizzatori, potrebbe considerarsi arrivata: è la moglie di un medico senza problemi di denaro che stravede per lei. Ma lei continua a percepire fortissimamente il dolore dell’esistenza, e non riuscirà a sbarazzarsene neanche quando si innamorerà davvero di un uomo, Roland.

E’ un libro sul mistero dell’esistenza e degli esseri umani, ma anche sulle capacità di accettazione delle difficoltà della vita e delle proprie origini.

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Una signora perduta (Willa Cather) @Adelphiedizioni

A volte le quarte di copertina mi lasciano perplessa. Di questo libro è scritto:

La “signora perduta” che sta al centro di questo romanzo vive nel vecchio West. E’ bellissima, nobile, affascina tutti. La vediamo attraverso gli occhi adoranti di un ragazzo che nulla ama al mondo quanto farle visita. Ma la “signora perduta” cela in sé un’attrazione per qualcosa che sta tra il losco e il sordido, una sorta di perverso desiderio di degradazione.

Io non avrei parlato di un vero e proprio desiderio di degradazione.

La signora Forrester ha un marito che prima per un incidente col cavallo e poi per un colpo apoplettico è praticamente invalido. Lei, sempre affascinante con tutti, inizia una relazione prima con un furbastro che poi alla fine sposa una ragazza ricca, e poi con un avvocato senza scrupoli della peggior risma.

Ebbene, se lei si comporta così non è perché vuole degradarsi, e neanche perché ha smesso di amare il marito, che anzi rispetta e che cura con le migliori intenzioni. Era una donna abituata all’alta società che si ritrova in campagna, spesso isolata a causa degli eventi atmosferici.

Se si abbassa con i due tipastri di cui sopra è perché, nell’ottica vittoriana della Cather, non ha nessuno che la consigli in meglio.

In questo mondo, le donne si prendono e si consigliano. Hanno un ruolo prettamente passivo: devono essere salvate, non possono salvarsi da sole. La Forrester sta attraversando un periodo in cui quelli che le stanno più vicino sono gentaglia, e lei non ha modo di difendersi. Le manca l’uomo giusto che possa aiutarla.

Lungi da me difendere questo ambiente: le donne sembrano esseri senza libero arbitrio. Ma se una persona è un po’ più debole degli altri, alla fine l’opinione comune diventa la sua, e una donna diventa davvero un essere senza possibilità di scelta autonoma.

Al di là della figura della signora Forrester, però, questo libro è anche un inno a un mondo che non c’è più, quello dei pionieri delle ferrovie americane, gente piena di iniziativa (no, non erano donne), che si frequentava nello stesso ambiente, in movimento, attenti l’uno all’altro. Ed è proprio il mondo che sta andando in frantumi: la signora Forrester ne è solo un esempio.

Libro ben scritto, con un approccio ottocentesco da terza persona che passa da un personaggio all’altro con tocchi delicati.

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