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Piccole abitudini per grandi cambiamenti (James Clear)

Questo libro nei vari paesi è stato tradotto nei modi più diversi: “Il metodo 1%” in tedesco, “Abitudini atomiche” in inglese e spagnolo, e ha ottenuto ottimi risultati di vendita.

E’ infatti un buon compendio che spiega sia come sorgono le abitudini, sia come possiamo sfruttarle per migliorare la nostra situazione.

Innanzitutto, l’abitudine nasce perché all’inizio c’è uno stimolo, a cui segue un desiderio, che dà luogo ad un’azione che, una volta compiuta, offre una sorta di appagamento (i termini usati nel libro possono essere leggermente diversi perché io ho ascoltato la versione in tedesco, ma cerco di rendere il senso generale nel modo più attendibile possibile).

L’abitudine è un comportamento ripetuto quasi senza pensarci, un modo per il cervello di risparmiarsi la fatica di decidere. Siccome lo scopo è proprio quello di risparmiare energia, se vogliamo instaurare abitudini positive, bisogna renderle il più facili possibile, ad esempio, accoppiandole ad abitudini già esistenti.

Ma un’abitudine non diventa tale se non è anche piacevole.

Non è un caso se dentifrici e saponette hanno profumi e aromi accattivanti.

Meglio accettare fin da subito che sono le emozioni a guidare i nostri comportamenti, non la nostra parte razionale: posso decidere di mettermi a correre ogni giorno, ma se non rendo l’esperienza in qualche modo piacevole, non riuscirò a portarla avanti abbastanza a lungo per instaurare un’abitudine.

Se poi l’abitudine alla fine diventa piacevole in sé, bè, questo è un bel traguardo, ma ci vuol tempo. Ricordo il primo minuto di corsa che ho fatto in vita mia, e vi assicuro che era tutt’altro che piacevole.

Noi agiamo perché, sotto sotto, vogliamo cambiare il modo in cui ci sentiamo.

Se prendi una sigaretta, non è per sentire il gusto di fumo in bocca, ma per calmare i nervi; se tiri una bestemmia, non è per offendere gli dei, ma per sfogare il nervosismo; se mangi di notte, non è perché hai fame, ma perché hai un senso di vuoto.

A volte bisogna capire le ragioni che stanno sotto a certi comportamenti, per capire meglio come reagire.

Alla fine, poi, non si può prescindere da se stessi e dai propri geni. Anche certi sportivi hanno raggiunto vette altissime nelle loro discipline perché il loro corpo era fatto in un certo modo (anche se questo non significa che non si debba allenarsi).

Clear usa una bella immagine: nell’acqua calda una patata si ammorbidisce, mentre un uovo si indurisce. Stesso ambiente, due reazioni completamente opposte. Non si può far altrimenti. Ma si può sfruttare il risultato decidendo la ricetta.

Nel libro riporta l’esempio di un fumettista: era mediamente bravo nel disegno, e tendeva a fare battute quando parlava. Niente di speciale, se ognuna di queste due caratteristiche veniva presa singolarmente. Non avrebbe potuto fare l’artista, né il comico. Ma il vignettista sì, sfruttando la propria personale combinazione di caratteristiche.

La scelta delle abitudini a cui sottoporsi, dunque, non può prescindere da ciò che siamo. L’identità percepita è sempre in agguato, e per cambiare stile di vita non si può ignorarla.

Un aiuto all’attivazione di abitudini sane può venire dal Tracking, cioè dalla registrazione di quello che facciamo. Può bastare un foglio di calendario, in cui mettiamo una crocetta ogni giorno di alimentazione sana o di allenamento in palestra: il cervello ha bisogno di tempo per cambiare i propri circuiti neuronali (e no, non c’è un tempo predefinito, dunque il discorso dei 21 giorni non può venir standardizzato per tutti).

Si può arrivare al punto in cui avere un calendario pieno di crocette è soddisfacente in sé, e allora siamo sulla buona strada per una nuova abitudine sana.

Certo, non ci si può neanche limitare a mettere crocette su un calendario pensando di aver ottenuto lo scopo della propria vita. Gli obiettivi vanno periodicamente analizzati, perché possono cambiare nel tempo.

Non bisogna farlo troppo spesso, né troppo poco: è come passare davanti allo specchio in corridoio tutti i giorni. Se mi controllo ad ogni passaggio, mi concentro su dettagli insignificanti; se non mi guardo mai allo specchio, rischio di accorgermi troppo tardi di essere ingrassato o di avere una pelle giallo itterico.

Ma una riflessione periodica ci vuole, sempre.

E’ un libro molto leggibile e ben strutturato. Gli youtuber di lingua inglese ne vanno pazzi, qui in Italia ne ho sentito parlar meno, ma ve lo consiglio.

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Nessuna scusa! Come cambiare i modelli di pensiero distruttivo (Wayne W. Dyer)

Capita anche a voi di avere qualcosa da fare ma di non farlo perché accampate delle scuse con voi stessi?

Che si tratti di dismettere una cattiva abitudine o di iniziare un’attività che potrebbe migliorare la vostra situazione (cambiare lavoro, fare attività fisica, scrivere un libro, mollare il compagno…), Wayne W. Dyer ci elenca una serie di scuse che di solito sfruttiamo per non attivarci.

  • E’ troppo difficile o costa troppo
  • è troppo pericoloso
  • ci vuole troppo tempo
  • la mia famiglia ne farebbe un dramma
  • non me lo merito
  • sono fatto così, è il mio carattere, il mio DNA, la mia storia familiare
  • nessuno mi aiuta
  • fino ad oggi si è sempre fatto così
  • non sono abbastanza intelligente/forte
  • sono troppo vecchio (o sono troppo giovane)
  • ho troppo da fare, non ho tempo

E via di seguito.

Per affrontare queste scuse bloccanti, il primo passo è esserne consapevoli. Bisogna individuare il pensiero-scusa e fermarsi ad analizzarlo. Sembra facile ma non lo è, perché certi atteggiamenti mentali sono così radicati nel nostro passato che ormai sono parte di noi.

Eppure, noi possiamo cambiare.

Chi conosce Dyer, sa quali sono i suoi strumenti: affermazioni positive, compassione, meditazione, consapevolezza. A me personalmente dà fastidio quando parla troppo di Dio – ma devo ammettere che spesso ci ricorda che la parola “Dio” può essere sostituita con altre (lui usa spesso “Tao”) che sono più in risonanza col nostro modo di pensare.

Si ripete molto, usando parole diverse: i concetti sono sempre gli stessi.

Però non si può buttar via il bambino con l’acqua sporca: il concetto centrale del libro è che noi possiamo cambiare le nostre abitudini e i nostri schemi mentali.

Pensateci: tutti vogliono essere liberi, eppure la libertà più grande è quella che possiamo vantare nei confronti di noi stessi, senza essere schiavi dei nostri pensieri fuori controllo.

E’ bella anche la parte in cui parla dell’entusiasmo, che è la prima vittima delle nostre scuse auto-bloccanti. L’entusiasmo va nutrito ogni giorno, anche e soprattutto frequentando persone che sono sulla nostra linea di pensiero (auguri).

“Promettete a voi stessi che terrete sempre sott’occhio il vostro entusiasmo e che ogni giorno compirete almeno un piccolo gesto per renderlo più forte”

Certo, non basta la lettura di un libro per cambiarvi la vita.

A me piacerebbe rimettermi a studiare (psicologia… non necessariamente per esercitare), e la scusa è “sono troppo vecchia”. Mi piacerebbe vivere scrivendo (scusa: “troppo difficile”) e viaggiando il mondo (“costa troppo”).

E voi? Quali sono le vostre scuse principali?

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Nudi e crudi, Alan Bennett @adelphiedizioni

Novantacinque pagine, solo 95 pagine, ma piene di ironia e ben scritte.

I coniugi Ransone rientrano da una serata all’opera e ritrovano la casa vuota; ma proprio vuota-vuota. Non è rimasta neanche la moquette, neanche lo sformato in forno. Chi sarà stato?

Il giallo si scopre solo alla fine, ma nel frattempo entriamo nell’intimità della coppia, scopriamo la povertà emotiva che ha caratterizzato i loro trent’anni di matrimonio, le loro abitudini incancrenite, i loro riti ormai inutili, i loro sotterfugi e le loro piccole meschinità.

Il signor Ransome è un avvocato, pignolo, che riprende la moglie ad ogni minima défaillance, anche verbale. Lei è una sciocchina, che non riesce a finire un libro capendone i contenuti, abituata a contare sul marito anche per fare la spesa. Eppure, tra i due, sarà lei a uscirne. Viva.

Viva due volte, non solo perché il marito morirà, ma perché la signora Ransome riuscirà, pian piano, proprio grazie al furto di trent’anni di oggetti, a cambiare. Si accorgerà di un bar che aveva sotto casa e in cui non era mai entrata; si comprerà dei mobili pacchiani da un indiano; inizierà a imparare un lessico emotivo tramite delle trasmissioni trash che non aveva mai visto.

E’ un romanzo sulla mancanza di comunicazione tra due persone che si conoscono da decenni, ma anche sulla mancanza di comprensione di se stessi (finché non subentra uno shock).

Molto carino.

Io non ho humor inglese, non mi sono messa a ridere mentre lo leggevo, ma so di gente che lo ha fatto. Per gli altri: leggetelo perché racconta con molta eleganza sia gli aspetti allegri che gli aspetti tristi di una convivenza.

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Cibo per il corpo nutrimento per lo spirito, Donald Altman


A differenza dei libri letti fino ad oggi, questo non parla di cosa mangiare, ma di come.
E’ organizzato in 365 paginette, ognuna incentrata su un aspetto, sebbene poi tutti si riconducano a dei concetti base: preparazione dei pasti, approccio, pasto, comunione, rituale e congedo. Ogni pagina/giorno presenta una frase di un autore conosciuto (Buddha, scrittori vari, Papi, poeti, giornalisti…), poi c’è la riflessione di Altman e infine un suggerimento riassuntivo.

Probabilmente risente della nazionalità dell’autore, che fa riferimento alle tipiche festività americane, inoltre non mi pare che in Italia la gente (tranne le signorine fissate con la linea e la bilancia) sia particolarmente ossessionata dalla dieta e dal cibo, come risulta da questo libro.
E ammetto che spesso i consigli sono ripetitivi, perché alla fine si tratta sempre di essere consapevoli di quello che si mangia, del perché e del modo, con tanti inviti alla respirazione e alle camminate post-prandiali. Ma in fondo: le cose da fare le sappiamo tutti, no? Per forza sono sempre quelle. Mangiare sano, leggere gli ingredienti, evitare zuccheri e grassi, fare moto eccetera eccetera eccetera… eppure nessuno lo fa. Dunque ben vengano libri motivanti come questo, che tra l’altro ha un approccio molto commerciale, facile da leggere, con tanti aforismi e spazi vuoti.

Personalmente mi è stato utile per quanto riguarda la consapevolezza non durante i pasti, ma per il prima e il dopo pasto, ovverosia per la preparazione dei piatti e per la pulizia della cucina, tutte attività che consideravo obbligatorie e pesanti, mentre se intraprese con uno spirito di generosità e attenzione possono essere piacevoli.

Riponete gli attrezzi di cui non avete bisogno, mettete via la caffettiera e altri apparecchi solitamente riservati alle occasioni in cui avete ospiti, sgombrate lo spazio in modo che ciò che rimane non sia in disordine e d’intralcio.
In questo modo, sarete i custodi della vostra cucina e della consapevolezza.
Eliminate la confusione in cucina per lasciare spazio alla creazione del pasto.

Quello che a me manca, e che continua a mancare anche dopo la lettura di questo libro (forse sono troppo terra-terra, diciamolo) è l’aspetto rituale. La preghiera o la lettura prima del pasto, quella che dovrebbe farci entrare in un virtuale luogo sacro e aprirci alla spiritualità del momento, non mi attira. Non mi ci vedo a recitare (ma neanche a pensare) una poesia o un versetto prima di infilzare la forchetta nel burger di soia.
Ma finché c’è vita, si può cambiare.

Un’imprecisione però costa all’autore dieci punti: in un passaggio dice che Hitler era vegetariano e Buddha mangiava la carne che gli veniva offerta, questo per giustificare l’equilibrio in ogni cosa, anche nella scelta dei cibi.
Ebbene. Signori: Hitler non era vegano. Questa è stata una costruzione ad hoc da parte di Goebbels. La cuoca di Hitler ha addirittura scritto un ricettario incentrato sulla cucina per il Fuehrer, ed è pieno di pietanze a base di carne. Dunque, mi dispiace per quelli che se la prendono coi vegetariani portando Hitler come esempio negativo: è un falso storico. Adatto alla gente che si basa su facebook come base culturale.

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