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Mario e il mago, Thomas Mann

img_20180511_1806403198614649372133960.jpgRomanzo breve pubblicato nel 1930 (un anno dopo l’assegnazione del Nobel), è ambientato in una località balneare italiana.

Sulle prime, la descrizione dei nostri connazionali è piuttosto paternalistica, quando non sconfinante nel fastidio: siamo etichettati come meridionali (che, alle nostre orecchie, suona quasi offensivo), rumorosi, servili col potere, nazionalisti, ridicoli.

Mentre leggevo mi son chiesta: ma come mai parla così male dei servili e mussoliniani italiani quando lui, nel 1930, viveva in un paese che si stava regalando a Hitler???

Mi son anche data una risposta: perché il libro non parla del paese di Torre in Italia, ma del meccanismo attraverso il quale la folla si sottomette a un dittatore.

Infatti la vicenda nel racconto è incentrata sul Mago Cipolla, che, brutto, odioso e gobbo, soggioga il pubblico dei bagnanti e dei locali con i suoi poteri… magnetici. Si prende il gioco di questo e di quello, finché, dopo aver deriso il povero cameriere Mario, muore sotto i colpi della sua pistola.

Sono dunque arrivata alla conclusione che Mann, più che raccontare una storia di poteri psichici, volesse presentarci un’allegoria di come un essere ignobile (Hitler?) riesce ad avere la meglio su degli esseri umani. E se lo ha ambientato in Italia, non è tanto perché in quegli anni c’era Mussolini in giro, ma anche perché Thomas Mann non riconosceva più il proprio paese, sotto Hitler.

Più di una volta la voce narrante si chiede perché, davanti ai presagi di sventura e all’ignobile spettacolo di Cipolla, non se ne sia andato. Una risposta vera e propria non ce l’ha. Può spiegarselo solo con

un ebbro disfacimento di quella critica forza di resistenza che tanto a lungo si era opposta all’azione dell’odioso gobbo.

E quando, alla fine, il mago Cipolla viene ucciso, la voce narrante parla di fine liberatrice.

Sì, per me è proprio un’allegoria.

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La disobbedienza ed altri saggi, Erich Fromm

Eh no, ragazzi miei: facendo i bambini obbedienti non si arriva da nessuna parte. A dircelo è Fromm, e ce lo ha messo per iscritto un bel po’ di tempo fa. La civiltà è nata con un atto di disubbidienza: avete presente Adamo ed Eva, quelli che andavano in giro con la foglia di fico che poi non era fico? O Prometeo, che va a rubacchiare cose che non gli spettano? O tutti quegli scienziati che hanno messo in dubbio il pubblico sentire?

Limitandosi all’ubbidienza non si cresce, non si diventa liberi: ci si limita ad eseguire gli ordini.

Ora tutti diranno: anche io voglio essere libero! anche io! e io no?

No.

In realtà la gente dice solo a parole che vuol essere libera; perché quando si tratta di prendere decisioni e di assumersi le responsabilità che ne conseguono, tutti (anche io) alzano le mani e si giustificano: ma io ho fatto quello che mi ha detto lui/lei!

L’uomo inserito in un’organizzazione ha perduto la capacità di disobbedire, non è neppure consapevole del fatto che obbedisce. Nell’attuale fase storica, la capacità di dubitare, di criticare e di disobbedire può essere tutto ciò che si interpone tra un futuro per l’umanità e la fine della civiltà.

Certo, Fromm scriveva negli anni Sessanta sotto l’incubo del disastro atomico, ma la situazione attuale non è molto diversa, anzi, forse è peggiore, perché ci disinteressiamo di tutto quello che non ricade hic et nunc – qui ed ora – nel nostro orticello.

Questo è uno degli argomenti che Fromm affronta in questo breve saggio. Parla anche di socialismo umanitario (mettendoci in guardia dalla deformazione della teoria Marxista fatta dai politici), di reddito minimo garantito (e questo vi consiglio di leggerlo!), di disarmo unilaterale, di pratica della pace.

Parla all’uomo dell’uomo.

Ho adorato le pagine in cui distingue i profeti dai sacerdoti:

Possiamo definire profeti coloro i quali proclamano idee – non necessariamente nuova – e in pari tempo le vivono. (…) Chiameremo sacerdoti coloro i quali fanno uso delle idee che i profeti hanno enunciato.  I profeti vivono le proprie idee; i sacerdoti le somministrano a quanti hanno care le idee stesse. Le quali perdono così vitalità (…) accade sempre che la formulazione acquisti importanza una volta che l’esperienza sia morta.

Ecco perché la gente non crede più in niente: perché le idee che vengono fatte circolare oggi fanno appello solo alla nostra mente, non al nostro cuore. Ci mancano gli esempi.

Si può affermare senza tema di esagerazione che mai la conoscenza delle grandi idee prodotte dalla specie umana è stata diffusa in tutto il mondo come oggi, e che mai queste idee hanno avuto meno incidenza di oggi.

E poi, sentite come Fromm ci spiega il senso di colpa contemporaneo: coloro che lo provano

non sono tormentati da un problema morale, ma dal fatto di non aver obbedito a un ordine.

Che l’ordine venga da un’organizzazione o sia il precetto di un’autorità interiorizzato, la sostanza non cambia.

Dobbiamo lavorare su noi stessi. Tutti.

 

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Leggiamo più velocemente!

Holger Backwinkel, Peter Sturtz
Non è stata una buona idea quella di prendere un libro sulla lettura veloce in tedesco: un testo in una lingua del genere, se non sei madrelingua, ti costringe troppo spesso a fermarti o a tornare indietro su vocaboli sconosciuti. Però se non sono riuscita a fare bene gli esercizi di lettura, sono utili quelli sul colpo d’occhio, che ti aiutano ad allargare il campo visivo utilizzando dei numeri, prima a tre, poi a quattro, cinque e infine a sei cifre.

E poi c’è una parte che fornisce una serie di consigli generali che possono tornare utili a tutti. Eccoli:

  1. scegliere bene le parti del giorno in cui si legge, evitando i momenti in cui si può essere stanchi (es. appena dopo mangiato), perché questo influisce sulla concentrazione, e dunque sulla velocità di lettura.
  2. i momenti in cui si leggono devono essere liberi da interruzioni e distrazioni: ognuno si regoli da sé, perché ognuno sa quando è più probabile ricevere visite o telefonate.
  3. spegnere la TV e non lasciare la musica accesa: molti leggono con musica in sottofondo ma il cervello ne è disturbato, anche se non ce ne accorgiamo direttamente.
  4. leggere un certo tipo di testo per volta: posta, testi tecnici, romanzi, volantini… il cervello entra in modalità diversa a seconda del contesto e questo lo aiuta ad apprendere i contenuti in modo più rapido.
  5. evitare salvaschermi in movimento: mentre leggiamo un testo sul ripiano della scrivania, il cervello capta spostamenti di luce e colore che avvengono nei paraggi e la concentrazione ne risente.
  6. leggiamo col cervello, non con gli occhi. Ci interessano i concetti, non le singole parole (a meno che non leggiamo poesia o testi narrativi particolarmente poetici, direi io…), dunque non è necessario leggere tutto (consiglio che io trascrivo ma che non riesco a mettere in pratica).
  7. date un’occhiata al testo da leggere prima di iniziare la lettura vera e propria: serve al cervello per entrare in sintonia col testo e notare se ci sono parti in grassetto o titoli che lo orientano verso un certo argomento.
  8. fate attenzione a parole come “e, inoltre, in aggiunta, nonché” oppure “al contrario, invece, però, tuttavia” che ci dicono se il pensiero centrale del paragrafo prosegue per una certa direzione (e allora, una volta acquisito il pensiero centrale si può saltare qualcosina) o se si aggiungono elementi contrari (ancora da acquisire).
  9. non applicare la lettura veloce per più di 15 minuti alla volta: dopo questo lasso di tempo, l’attenzione diminuisce. Meglio leggere più volte durante il giorno che in una sessione unica di due ore.

Un suggerimento che ho sentito su youtube, è di accelerare la propria lettura esercitandosi a leggere alla velocità massima: all’inizio non si capisce molto ma dopo un po’, il cervello si abitua e assorbe, quasi a livello subliminale.

C’è gente che legge un libro al giorno.

Li invidio. Ma nonostante mi interessi di lettura veloce, non sono così motivata ad accelerare la mia, soprattutto quando leggo narrativa. Per i saggi è una cosa, ma la narrativa è bella da leggere con calma, assaporarne le similitudini e le metafore, fermandosi a riflettere e a fare confronti con la propria realtà (non parliamo neanche di poesia, che non rientra nelle mie abitudini, ma che mal si adatta alle regole della lettura veloce).

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