Category Archives: scrittori inglesi

Il metodo Aristotele (Edith Hall)

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Come bisognerebbe prendere le decisioni? Ieri come oggi, questi passaggi suggeriti da Aristotele restano validissimi:

  • Non decidere in fretta: prenditi il tuo tempo, se possibile, dormici su.
  • Verifica le informazioni in tuo possesso: soprattutto oggi, che siamo inondati da informazioni di tutti i tipi.
  • Consulta un esperto, e seguine i consigli. Può essere un esperto in carne ed ossa, ma puoi leggerne le parole anche in un libro o ascoltarlo su youtube.
  • Valuta il punto di vista di tutte le persone coinvolte dalle conseguenze della tua decisione.
  • Esamina tutti i precedenti conosciuti, sia che appartengano alla tua esperienza che all’esperienza di persone che conosci (magari leggendo delle biografie, tanto per allargare il cerchio delle tue conoscenze).
  • Esamina le probabilità degli esiti delle tue decisioni e preparati a tutte.
  • Prendi in considerazione il Caso: non puoi controllare tutte le variabili, è così, non puoi farci niente. Tanto vale essere psicologicamente pronti.

Un bel libro per affrontare Aristotele, autore spesso considerato ostico, in un’ottica contemporanea.

I capitoli affrontano vari temi: la felicità, il potenziale umano, le decisioni, la comunicazione, la conoscenza di sé, l’amore, il tempo libero e la morte.

Il capitolo più ispirazionale è – secondo me – quello dedicato al tempo libero e alle possibilità di automiglioramento.

Leggetelo.

Il tempo libero, ribadisce Aristotele, se usato correttamente, è lo stato umano ideale.

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1918 L’influenza Spagnola (Laura Spinney)

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Dal 1918 al 2020, l’atteggiamento umano davanti a una pandemia è cambiato poco sotto diversi punti di vista.

Oggi come allora diamo la colpa dello scoppio dell’influenza ai paesi stranieri (sembra che la Spagnola sia nata in Kansas, ma che tutti dessero la colpa alla spagna o alla Cina).

Oggi come allora diamo la colpa agli immigrati: oggi sono quelli che vengono dal bacino del mediterraneo, allora negli Stati Uniti se la prendevano con gli italiani, che sembravano più sporchi e dissoluti degli altri.

Oggi come allora una larga percentuale di popolazione, davanti al brancolare della scienza, si rivolgeva alle cure cosiddette “alternative“, anche se nel 1918 la distinzione non era così chiara.

Oggi come allora, si dà la colpa agli spiriti e agli dei, e molti si affidano alle preghiere e ai riti per guarire.

Le differenze, ovviamente, ci sono, Oggi l’OMS è funzionante ed attiva: nel 1918 ancora non c’era, anzi, la Spagnola è stata un elemento che ne ha favorito la costituzione, in qualche modo, visto che eventi del genere non si possono controllare a livello nazionale.

Nel 1918 eravamo in piena guerra mondiale, il che ha favorito certamente la diffusione dell’epidemia (oggi la diffusione è favorita dai viaggi e dal commercio).

Nel 1918 molti paesi non avevano un sistema sanitario, oggi ce l’hanno quasi tutti.

E’ un libro certamente interessante, con un taglio storico, e meno attento agli aspetti scientifici rispetto ad altri testi sull’argomento.

Vengono citati molti personaggi: Freud, Klimt, Egon Schiele, il nonno di Trump (sì, proprio lui), Amelia Earhart (l’aviatrice), il compositore ungherese Béla Bartok… più tutta una serie di personaggi semi-sconosciuti che hanno combattuto contro il corona virus dell’inizio del Novecento (interessante come, in tempi più recenti, i medici sono andati a cercarsi il DNA della Spagnola).

Forse (opinione mia) l’autrice attribuisce alla Spagnola più conseguenze di quelle che ha avuto: epidemie di depressione, o addirittura di encefalite letargica (Vi ricordate il film “Risvegli”?), fino ad arrivare a ipotizzare scenari politici alternativi.

Se guardate le recensioni su Amazon, ce ne sono diverse che lamentano l’abbondanza di descrizioni macabre: morti abbandonati in strada, cadaveri in putrefazione, fosse comuni… M a me non sembra che l’autrice si sia soffermata molto su questi aspetti.

Dobbiamo considerare che il libro esamina l’epidemia a livello globale: ci sono stati anche casi macabri. Sorvolarli non sarebbe stato un atteggiamento obiettivo.

Consiglio finale: leggetelo.

Leggetelo soprattutto per capire come l’animo umano resta sempre lo stesso, non importa quanto evoluti e “scientifici” ci consideriamo.

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Covid19 e scuole

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E’ passato un secolo, ma, davanti a un Corona Virus con caratteristiche molto simili a quelle dell’epidemia di Spagnola, siamo ancora a discutere se le scuole devono stare aperte oppure no.

Allora vi racconto cosa ha fatto Royal S. Copeland, il commissario alla sanità di New York nel 1919, centouno anni fa.

Oltre le litigate con i sostenitori del presidente Woodrow Wilson, che ignorò i consigli dei medici militari e lasciò continuare i trasferimenti dell’esercito (eh, sapete, siamo in guerra!)…

… oltre alla continuazione di campagne a favore dell’igiene pubblica (ad esempio, vietando di sputare in pubblico… (e faccio notare che qui in Italia nel 2020 ancora non riusciamo a estirpare questa abitudine)…

… oltre il divieto di funerali pubblici…

… oltre la campagna a favore dell’igiene pubblica degli immigrati (soprattutto italiani, considerati particolarmente sporchi e promiscui; New York era la seconda città al mondo per numero di italiani, dopo Napoli)…

… oltre a tutto questo e ad altre iniziative volte a combattere la pandemia, Copeland, in accordo con Josephine Baker, a capo della divisione di Igiene infantile del dipartimento di Salute pubblica, decide di tenere aperte le scuole.

Uh, anatema!

In realtà, i bambini a scuola erano meglio controllati e curati se mostravano segni di malattia. Inoltre erano meglio nutriti, cosa che a casa non sempre era garantita.

Copeland e Baker attirarono

su di sé molte critiche, comprese quelle della Croce Rossa e di ex commissari alla sanità. Ma Copeland e Baker avrebbero avuto la loro rivincita: quell’autunno quasi nessun bambino in età scolare si ammalò di influenza.

E noi, nel 2020, dall’alto della nostra tecnologia e scienza, con tutti gli strumenti di cui disponiamo, stiamo ancora qui a discutere.

 

 

 

 

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Coral Glynn (Peter Cameron) @Adelphi

Coral Glynn è un’infermiera privata che va ad assistere una anziana malata terminale in una villa. Là c’è il figlio, reduce di guerra col corpo sfigurato.

Quando la donna muore, lui le chiede di sposarlo.

Lei è una timida cronica, lui non è più abituato a trattare con la gente e fa gaffes a non finire (come quella di offrirle, come talamo nuziale, il letto in cui è morta la madre).

La coppia parte male fin dall’inizio, sembrano caduti in una cosa più grande di loro al solo scopo di non vivere nella solitudine tutta la vita.

A ciò si aggiunge un barbaro omicidio nel bosco vicino: Coral viene coinvolta perché sapeva qualcosa ma non ha parlato subito.

Il maggiore ha un amico di lunga data, con cui ha avuto una storia.

Ecco gli elementi base di questo romanzo, e tutti ruotano attorno a una spaventosa incomunicabilità.

Eppure, alla fine, si arriverà ad una specie di chiusura felice…

Una lettura piacevole per l’isolamento fiduciario, anzi, forse proprio adatta: si vive l’uno accanto all’altro e non ci si conosce.

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Criminologia – Tim Newburn

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La criminologia ha poco a che fare con CSI: si occupa più di definire, misurare e proporre misure per la prevenzione del crimine.Senza entrare troppo nel dettaglio del libro, credo che le misure preventive siano la parte più interessante di questo breve saggio.Partiamo dal presupposto che, perché ci sia un crimine, serve una persona motivata a compierlo, un obiettivo desiderabile e la mancanza di un guardiano capace.La prevenzione può essere di due tipi:SOCIALEAgisce su cause di vasta portata, come povertà, istruzione, socializzazione, mancanza di alloggi, scarsità di lavoro ecc…Un esempio ne è stato l’esperimento High/Scope Perry Pre-School, che si è dedicato ai bambini di una zona molto degradata del Michigan: il rischio di essere coinvolti in attività criminali, che per questi bambini era statisticamente alto, si è ridotto notevolmente:

L’investimento nell’istruzione prescolare di questi bambini ha portato a un risparmio 7 volte superiore al costo iniziale.

SITUAZIONALEQui si ignorano le cause sociali e ci si concentra sul fatto che il crimine è un fenomeno in gran parte opportunistico: riducendo le opportunità di guadagno o aumentando le possibilità di venir scoperti, si ridurrebbe il crimine. In pratica si interferisce sul calcolo costi-benefici che ogni potenziale criminale fa prima di compiere l’atto.Ed è qui che i suggerimenti abbondano. Ne riporto solo alcuni.ACCRESCERE LE DIFFICOLTA’ DEL CRIMINE: es. sistemi di blocco per i cellulari rubati, controllo della vendita di vernici spray ai giovani, toilette femminili separate, accessi con badge elettronici…RIDURRE I BENEFICI DEL CRIMINE: es. monitorare i banchi dei pegni e gli annunci commerciali, obbligo di licenza per i venditori ambulantiRIDURRE LE PROVOCAZIONI: es. gestione efficiente delle code e servizio cortese; aumento dei posti a sedere; ridurre l’affollamento in bar e locali; tariffe fisse per i taxi; vietare le offese a sfondo razziale; ridurre i conformismi da ansia sociale (“Dire no è ok”, “Solo gli idioti guidano ubriachi”); censurare i dettagli del modus operandi dei criminali.RIDURRE I PRETESTI: es. facilitare il rispetto delle norme (prestito bibliotecario facilitato, bagni pubblici, contenitori per la spazzatura), controllare l’abuso di alcool e droghe (es. eventi alcol-free).Ogni approccio prevenivo ha i suoi pregi e i suoi difetti.Ad esempio: l’approccio situazionale non può comportare lo spostamento del crimine in altri luoghi o spazi?Ma il discorso si fa lungo.La scelta migliore sarebbe quella di applicare entrambe le strategie.Un’ultima cosa, importante: la criminologia sta cominciando solo ora a dare più rilevanza ai crimini contro il patrimonio: si fa ancora troppo poco per i crimini dei colletti bianchi.

Quante borse di studio sono tate erogate a studenti di criminologia per analizzare la crisi finanziaria globale, innescata dai guai dei mutui subprime statunitensi alla fine del 2007 e scoppiata con il crack della Lehman Brothers, nel settembre 2008? Poche, troppo poche.

I crimini più gravi non sono compiuti da singoli, ma da stati nazionali o da grandi compagnie. E questi crimini la maggior parte delle volte restano impuniti.

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Addio, Mister Chips! (James Hilton) @LibriMondadori

Romanzo breve, pulito, di buoni sentimenti, tanto inglese— e ti fa riflettere sul senso della vita e della vecchiaia e dei rapporti interpersonali… perfetto per le vacanze, insomma.

Mr. Chips (in realtà si chiama Chipping) insegna agli adolescenti di Brookfield tra la fine del diciottesimo secolo e il 1917: il romanzo è raccontato sulla scorta dei suoi ricordi. Dopo un quarto di secolo dedicato all’istituzione, Mr. Chips è andato a vivere poco lontano dalla scuola e mantiene i rapporti con alunni ed ex alunni.

Ama i giovani e i giovani amano lui: diventa una specie di mascotte anche quando non c’è, perché i ragazzi continuano a raccontare piccoli eventi che lo riguardano o a imitare il suo modo di parlare.

Tutto raccontato con leggerezza: anche le perdite dovute alla guerra, senza mai indulgere sulla sofferenza, ma solo lasciandola intuire, con garbo e pudore.

Il volume è completato da una serie di Novelle (“Ghirlanda per Mister Chips”), dove o lui o i giovani sono protagonisti.

Punteggio: 3 su 5.

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Port Mungo – Patrick McGrath

Gin Rathbone ci racconta la storia di suo fratello Jack, grande ma sconosciuto pittore, e di sua moglie Vera Savage, artista scombinata, alcolizzata, fedifraga e madre snaturata.

O no?

Ci racconta anche la storia della morte di Peg, la figlia di Jack, e di come la sorella superstite vada alla ricerca della madre, che, ancora una volta, se ne è andata di casa per seguire i suoi amanti e la sua arte disossata.

O no?

In realtà, Gin Rathbone è una di noi: quello che davvero ci racconta è quanto poco si possa conoscere delle persone, soprattutto se sono persone a noi molto care. Ci racconta di quanto mentiamo a noi stessi e di come leggiamo gli indizi in funzione di quello che pensiamo possa essere vero.

Forse, rispetto ad altri libri di McGrath, questo è meno appassionante dal punto di vista commerciale: non ci sono “grandi” misteri da scoprire, solo dei “segreti” familiari, dei non-detti importanti.

Non è un thriller psicologico. E’ un romanzo più psicologico che thriller, ma proprio per questo è più vicino alla vita di ognuno di noi.

Ci lamentiamo che gli altri ci dicano bugie: ma quante ne diciamo, noi, a noi stessi?

E poi mi è piaciuta l’ambientazione nei Caraibi (ancora) poco conosciuti di qualche anno fa, dove a saltare all’occhio erano la miseria e la sporcizia, e non gli alberghi e le spiagge dorate (anche se, devo dire, che il trasferimento di Jack a Port Mungo non è fortemente giustificato, a mio parere).

Punteggio: 3,5 su 5.

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La tredicesima storia – Diane Setterfield @LibriMondadori

Bello, bello, bello.

Margaret Lea lavora nella libreria antiquaria del padre. E’ un tipo solitario, amante della lettura, della cioccolata calda e delle biografie di sconosciuti morti da lungo tempo. Ha sempre convissuto con un inspiegabile senso di mancanza, ed un giorno scopre che sua sorella gemella è morta poco dopo la nascita.

Forse è per questo che si lascia assumere dalla scrittrice Vida Winter per scriverne le memorie: perché la donna le ha promesso che le racconterà una storia di gemelle.

La signora Winter ha sempre diffuso versioni discordanti della propria vita:

Quale sostegno, quale consolazione nella Verità, a paragone di una storia?

La donna vive isolata in una grandissima casa con un giardino immenso, con l’aiuto di una governante e di un autista-giardiniere.

E’ malata, molto, e dispotica, ma in lei si intuisce l’urgenza di raccontare la propria storia.

Gli indizi sulla Verità affiorano un po’ alla volta. Scopriamo che aveva una sorella gemella, che non si capisce che fine abbia fatto (ma lo si scoprirà verso la fine), e salta fuori un fantasma che nessuno riesce ad acchiappare e che combina piccoli dispetti qua e là.

La famiglia della Winter è segnata dalla malattia mentale, dalla passione, dalla violenza e dall’incesto, ma la scrittura della Pressfield è delicata, senza barocchismi, e la sua capacità di visualizzazione e approfondimento psicologico rendono la lettura davvero piacevole.

E’ un romanzo con passioni forti e colpi di scena, lo consiglio proprio!

Niente è più rivelatore di una storia.

(E’ vero.)


Diane Setterfield (Reading 1964) è una studiosa di letteratura francese del ventesimo secolo. Vive nello Yorkshire con il marito. Questo è il suo primo romanzo.

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Cesare padrone di Roma – Conn Iggulden @edizpiemme

Ma quanto noioso era studiare storia romana a scuola? Forse non è un caso che una volta lontana dai banchi io mi sia dimenticata tutto. Ecco perché ogni tanto devo leggermi un romanzo storico o qualche biografia: se non mi appassiono a una storia, non imparo… la Storia!

Cesare, dunque!

Il libro ci racconta cosa ha combinato dalla campagna spagnola fino al passaggio del Rubicone.

Non erano tempi facili, quelli, ma una cosa è certa: gli uomini erano stupidi come quelli di oggi. Cesare incluso, eh?! Alla fine il suo scopo era quello di conquistare paesi e popoli per la gloria… di Roma? Macchè, non ci crede nessuno. Era la sua, di gloria, che gli interessava.

Idem per Pompeo, Crasso… Alessandro (morto da un pezzo), che era i suo idolo… e tanti altri. Ammazzamenti, squartamenti, stupri, omicidi di donne e bambini, incendi, furti. E tutto per cosa? Per ottenere più potere, più visibilità, più concessioni commerciali, un posto in senato, per diventare console, per ottenere i trionfi.

Patetici.

Il libro inizia quando la ribellione degli schiavi è già stata sedata: è stata uno shock per la classe dominante.

Insomma, il popolo di Roma andava tenuto tranquillo, con spettacoli regolari e regolari distribuzioni di soldi e cibo. Quello che facevano i politici, ai livelli più alti, lo sapevano solo loro: scambi di favori, ricatti, appropriamenti, debiti… (vi suona familiare?)

Cesare non era meglio degli altri. E’ solo diventato più famoso perché ha vinto… è il vincitore che scrive la storia. Ma anche lui si è allontanato da Roma per non pagare i debitori, anche lui si è appropriato delle ricchezze della Spagna per finanziare la campagna elettorale, anche lui ha mandato in giro per Roma migliaia e migliaia di sostenitori “pagati” per raccogliere consensi… Funzionava così, allora (e oggi? Oggi abbiamo la TV, ma il popolo non è molto più intelligente dopo duemila anni).

Interessante è vedere come si sviluppa il rapporto tra Cesare e Bruto: amici intimi fin da piccoli, tutto si incrina quando Cesare incomincia una relazione con Servilia, la madre di Bruto, tenutaria di bordello e vent’anni più vecchia dell’amante.

Vorrei vedere voi al posto di Bruto… insomma, alla fine Bruto era un uomo italiano, la mamma non si tocca.

Al di là dei dettagli storici, insomma, la lezione è che gli uomini non cambiano (le donne si son fatte un po’ più furbe. Un po’).

Quanti altri millenni ci servono per evolverci un pochino?

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Nel ventre della balena e altri saggi (G. Orwell) e alcune riflessioni sulla politica italiana

C’era una volta, tanti, tanti anni fa, Repubblica Romana: quando i consoli non erano in grado di gestire una situazione di crisi, nominavano un dittatore che aveva poteri assoluti e restava in carica sei mesi. Solo sei mesi. Poi basta.

La dittatura non possedeva quell’alone negativo che possiede oggi.

Oggi, il problema italiano sono i politici “democraticamente” eletti. Non se ne vanno più. E se ne arrivano di nuovi (vedi Movimento 5 Stelle e Lega ora al governo), dopo poco, diventano come i politici che hanno sostituito: dimenticano le promesse elettorali, mettono radici, e tutto ciò che fanno lo fanno solo per mantenere la sedia.

In una situazione del genere, ti viene il pensiero che sia meglio una rivoluzione di qualche tipo, e che l’unica soluzione sia uno tsunami politico che spazzi via parlamento e le tenie che ci sono dentro… anche se sei pacifista, questo pensiero si insinua nel cervello. Perché qui, in Italia, non si salva nessuno, dei politici (e quindi, neanche noi).

Poi prendi in mano un libro di Orwell e leggi

Non è solo il fatto che “il potere corrompe”, ma sono anche i modi stessi di conseguirlo.

E allora neanche l’idea della rivoluzione funziona più.

Resta l’emigrazione…?

Ma torniamo a Orwell.

I saggi di questo libro sono vari: si passa dalla lettura, alla politica, ai ricordi di scuola e di guerra.

Dico subito che alcune sue affermazioni, alla luce del tempo, si sono rivelate errate. Ad esempio, quando dice:

I libri americani interessano sempre meno.

(…) Neppure i supermarket riescono a soffocare il piccolo librario indipendente come hanno soffocato il droghiere e il lattivendolo.

Ma mi fa anche riflettere sulla mia voglia di lavorare tra i libri quando dice

(…) il vero motivo per cui non mi piacerebbe fare il libraio di mestiere è che, mentre lavoravo in una libreria, persi il mio amore per i libri. Un libraio deve mentire sui libri, e questo glieli rende antipatici. Anche peggiore è il fatto che passa il suo tempo a spolverarli e a spostarli di qua e di là.

E io che pensavo che il libraio fosse il mio lavoro ideale!

Orwell combatte contro tutti i totalitarismi, sia di destra che di sinistra, ma è sospettoso anche nei confronti della democrazia quando l’opinione pubblica prende il sopravvento:

(…) l’opinione pubblica, a causa della fortissima tendenza al conformismo degli animali gregari, è meno tollerante di ogni altro sistema di legge.

E che dire della chiesa romana?

(…) Durante un periodo di 300 anni, quante persone sono state contemporaneamente buoni cattolici e buoni romanzieri?

(…) le chiese cristiane forse non sopravvivrebbero solo sui loro meriti se le loro basi economiche fossero distrutte.

Più in generale, sulla libertà di pensiero ed espressione, Orwell sottolinea spesso quanto l’intellighenzia (o quella che vorrebbe farsi chiamare “intellighenzia”) ricorre all’autocensura:

L’immaginazione, come alcuni animali selvaggi, diventa sterile sotto cattività.

Il grande nemico di un linguaggio chiaro è l’insincerità. Quando esiste uno scarto tra lo scopo reale e quello dichiarato, ci si rivolge istintivamente ai paroloni e a vecchi luoghi comuni.

I buoni romanzi sono scritti da gente che non ha paura.

Alcune di queste riflessioni si sono rivelate profetiche.

Guardiamoci oggi: teoricamente godiamo dei diritto di libera stampa e riunione ma

Ciò che è realmente in questione è il diritto di riportare gli eventi contemporanei in maniera veridica, o almeno tanto veridicamente quanto lo consenta l’ignoranza, il pregiudizio e le autoconvinzioni di cui ogni osservatore necessariamente soffre.

Quanti giornalisti davvero liberi abbiamo in Italia oggi? E romanzieri? Abbiamo ancora intellettuali impegnati politicamente che non siano accecati da pregiudizi e autoconvinzioni? O, più semplicemente, romanzieri che tocchino, anche di striscio, la situazione politica italiana nelle loro opere?

Ogni scrittore e giornalista che voglia salvaguardare la propria integrità si trova impedito più dall’andamento generale della società che da un’attiva persecuzione.

Quando mi siedo a scrivere un libro, non mi dico: “Adesso farò un capolavoro”. Lo scrivo perché c’è qualche menzogna che voglio denunciare, qualche fatto sul quale voglio attirare l’attenzione (…).

Scrivere un libro è una lotta orribile ed estenuante, come un lungo periodo di dolorosa malattia. Nn bisognerebbe mai intraprendere un’attività del genere a meno di non essere guidato da un qualche demone incomprensibile al quale non si può resistere.

Non c’è altro da aggiungere.

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