Un drammaturgo, detto “Girino”, racconta la storia della zia ostetrica in Cina durante la rivoluzione culturale.Era un’ostetrica un po’ particolare, perché, dopo aver aiutato molte madri a partorire, il partito le chiede di supportare la politica del figlio unico, facendo abortire le donne che rimangono incinte “illegalmente”.La regola era infatti che si potesse avere solo un figlio. Si poteva restare incinte la seconda volta solo se il primo parto aveva dato alla luce una femmina.La zia di Girino prende gli ordini alla lettera e si ritrova a rincorrere madri col pancione che scappano a nascondersi in tutta la sua provincia.Detto così sembra una storia comica, in realtà la tragedia è dietro l’angolo, visto che gli aborti sono adottati anche se le gravidanze sono molto avanzate.La figura della zia è drammatica: se agli inizi della carriera era innamorata del fatto di far nascere bambini, quando deve dedicarsi agli aborti lo fa con una dedizione al limite del fanatismo, utilizzando astuzie che la rendono odiosa agli occhi di tutta la popolazione, parenti e amici inclusi.Lei è una donna dal carattere forte, che tiene testa agli uomini e ai funzionari, ma il logorio e i sensi di colpa a cui è sottoposta si farà sentire negli ultimi anni.Girino è un personaggio più sottomesso: accetta le decisioni del partito e della zia, e quando la prima moglie gli muore perché l’aveva convinta a sottoporsi all’aborto al settimo mese di gravidanza, non se la prenderà con la zia, ma piuttosto con se stesso.Ci sono tanti personaggi: è un libro che parla della Cina, più che di alcune figure specifiche.Voto: 4+/5
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Le rane (Mo Yan)
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Sotto cieli rossi – Karoline Kan
Karoline Kan è nata nel 1989 pochi mesi prima del massacro di Tienanmen.
Massacro? Quale massacro?
Karoline non ne sa nulla fino a che, da adulta, non si mette attivamente alla ricerca di informazioni sull’evento del 4 giugno, un evento di cui in Cina non si può parlare né scrivere.
Fino ad allora, la sua vita è incentrata sulla sua famiglia e sulla scuola, e la sua famiglia è tutta dedita al miglioramento sociale, alla ricerca di condizioni di vita migliori, possibilmente in città, lontano dalla campagna che offre poche opportunità di guadagno e di divertimento.
Quella che ogni cinese sognava di vincere era la corsa alla metropoli.
Karoline è la seconda figlia, e questo la segna fin dalla nascita.
Nel 1989 infatti in Cina vigeva ancora la politica del figlio unico (rimasta in vigore fino al 2015): non si poteva avere un secondo figlio, a meno che il primo non fosse una femmina.
Sua madre nascose la gravidanza fin quasi al parto: la nascose agli stessi suoceri, coi quali lei e suo marito vivevano.
Un secondo figlio, vietato, comportava una serie di difficoltà: innanzitutto, per i trasgressori, c’era una pesantissima sanzione da pagare (causa di indebitamenti che duravano anni) ed era perfino possibile che al bambino non venisse dato l’hankou, una specie di carta di identità. In pratica, era un cittadino fantasma.
Senza hankou non si può fare niente, né andare a scuola, né trovare un lavoro, né prendere l’autobus. Nel 2010 in Cina vivevano ancora milioni di “bambini in nero”, non riconosciuti perché nati “illegalmente”.
Quando la famiglia riesce ad abbandonare il paesino e a trasferirsi in una cittadina più grande, le difficoltà non finiscono. Chi viene dalla campagna è comunque considerato un “immigrato”, uno “straniero”, e questo comporta una serie di conseguenze che accompagneranno Karoline fino a quando inizierà a lavorare.
Ma l’estraneità cinese ci viene descritta anche in altri campi.
Ad esempio: il nonno di Karoline, che era stato un fervente sostenitore del governo, ad un certo punto perse la fiducia nel socialismo, e si diede al Falun Gong, un movimento spirituale che in Cina assunse un’amplissima portata.
Era un movimento pacifico, ma il governo cinese non poteva lasciar sopravvivere al proprio interno un’organizzazione così ampia, e da un giorno all’altro lo rese illegale. E con l’illegalità, arrivarono anche gli arresti e le torture per gli adepti che si rifiutavano di rinunciare al loro credo: siamo alla fine degli anni Novanta, non nell’Ottocento.
E che dire dell’addestramento militare a cui Karoline e i suoi coetanei devono sottostare quando si iscrivono all’università nel 2008?
La Cina è un paese pieno di contraddizioni.
Karoline Kan, però, come altri scrittori cinesi, non rinnega il suo paese.
Certo, ne mette in risalto gli aspetti negativi, ma alla base c’è sempre una speranza di redenzione e una fiducia di fondo nei cittadini cinesi, anche se a volte persino lei si lascia prendere dalla rabbia davanti a un’amica che non si interessa dei diritti delle donne e del silenzio imposto sui fatti di Tienanmen, o rabbia davanti a usanze sociali difficili da estirpare:
I ragazzi avevano il permesso di conoscersi solo dopo uno scambio reciproco di informazioni di base che comprendevano età, altezza, livello di istruzione, ma anche età dei genitori o presenza di eventuali fratelli o sorelle da mantenere.
I cinesi non sono molto diversi da noi.
Anche loro si danno da fare per vivere meglio secondo gli standard di vita imposti dalla TV e dai social media. E anche i loro giovani sono in costante lotta contro le generazioni precedenti: è un aspetto che accomuna tutte le latitudini e tutte le epoche.
Anche se ci avevano inculcato l’idea del lavoro come strumento per “servire la nazione”, a conti fatti nessuno di noi la pensava così. Quello a cui aspiravamo davvero era il successo individuale, e tanti saluti alla patria.
Mi piacerebbe che questo libro venisse letto da tutti quelli che credono che i cinesi siano formichine pronte a lavorare anche di sabato e di domenica, ma un po’ tonte, disposte a farsi mettere i piedi in testa dallo Xinping di turno affinché la Cina diventi il primo paese al mondo.
Ci sono anche cinesi così, certo. Cinesi che credono alla propaganda ufficiale, che non si fanno domande, che supportano la repressione a Hong Kong, che odiano gli Stati Uniti perché nei libri di scuola è scritto che sono il loro nemico peggiore.
Ma ci sono anche italiani che credono che il Covid sia stato creato in laboratorio per distruggere i paesi nemici.
E niente, il mondo è vario.
PS: ho chiesto alla scrittrice: questo libro non è ancora stato pubblicato in Cina.
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Wuhan – diari da una città chiusa (Fang Fang)
La scrittrice cinese Fang Fang, nata a Wuhan nel 1952, ci racconta il suo lockdown.
I temi principali sono la paura, la morte, gli haters, la difficoltà di approvvigionarsi di cibo. Ma anche i suoi rapporti con gli amici e i parenti.
E’ infatti questo uno dei punti chiave del libro: le sue relazioni sociali.
Sono rimasta sorpresa di quanto sia rimasta in contatto con i suoi ex compagni di classe, dalle elementari all’università. Certo, lei vive sola, ha bisogno di parlare con qualcuno, ma ho l’impressione che questa sia ancora una caratteristica che i cinesi riescono a mantenere viva.
Non come noi, che non conosciamo neanche i nomi del vicino di pianerottolo.
Altro elemento che mi ha sorpreso: il suo rapporto col governo.
Fang Fang è spesso bersaglio di censura, sia coi suoi libri che coi suoi post online. Lei lo sa, se ne lamenta ma non si indigna come ci indigneremmo noi. Alla fine riconosce che ciò che vale davvero, è il bene comune. Se dunque critica l’operato del governo (e lo fa!!), al di sotto delle sue parole si può trovare una fiducia di fondo.
Quanto è lontano questo atteggiamento dalle invettive dell’italiano medio!
E’ un libro che, nonostante la tristezza dell’argomento, inspira serenità.
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Cronache di un venditore di sangue (Yu Hua)
Cina, seconda metà del secolo scorso.
Chi ha bisogno di soldi, l’equivalente di sei mesi di lavoro in campagna, vende il sangue.
La vendita del sangue è l’espediente a cui Yu Hua ricorre per narrare la vita di Xu Sanguan.
Il primo guaio che deve affrontare, e per il quale gli servono soldi urgenti, è quello procuratogli dal figlio Felice Uno, che spacca la testa al figlio del fabbro Fang.
Un’altra volta, vende il sangue per fare dei regali a una collega con la quale è finito a letto.
Un’altra volta per dar da mangiare alla famiglia, ridotta pelle e ossa a causa di un’inondazione e di una carestia (ma anche della politica di Mao).
Un’altra volta per offrire una cena sontuosa al capobrigata del figlio Felice Due, perché un’accoglienza insufficiente rischierebbe di causare al figlio grosse difficoltà.
Infine, Xu Sanguan ricorre alla vendita del sangue, più volte, per salvare la vita al figlio Felice Uno, ammalatosi di epatite, che deve essere curato a Shanghai: lo vende più volte, lungo il tragitto da casa fino all’ospedale, rischiando la vita (e attenzione, che Felice Uno non è suo figlio, anche se lui lo ha creduto per nove anni).
All’inizio, la lettura mi è risultata un po’ difficile: lo stile è molto ironico, i protagonisti parlano gesticolando molto, si ripetono, un po’ come nei film di Bruce Lee; poi però si capisce che dietro certe scene apparentemente comiche si celano dei drammi non indifferenti.
Lungo tutto il romanzo, serpeggiano paure: di morire di fame, di perdere la faccia davanti alla comunità, di scialacquare il sangue, simbolo di forza, vita e retaggio degli avi.
Della storia della Cina si parla solo indirettamente.
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Di acqua e di vento (Ang Chin Geok)
Adoro leggere, in tempi burrascosi, delle disgrazie altrui. Mi fa sentire fortunata.
In questo romanzo, di disgrazie ce ne sono per tutti i… gusti. Dalle angherie della suocera insoddisfatta della propria situazione, alla guerra, alla fame, agli aborti, agli stupri, alle morti per annegamento.
La storia è raccontata da tre donne di altrettante generazioni, e si svolge tra Singapore e l’Australia.
Attraverso di loro vediamo la storia di Singapore, certo, ma soprattutto ci concentriamo sulla vita privata femminile.
“Privata” per modo di dire: le donne orientali vivono nella comunità, non ci sono “stanze tutte per sé”, ma nei decenni nei quali si svolge la vicenda delle tre protagoniste, le regole sociali a cui sono sottoposte sono cambiate nel tempo e nello spazio.
(…) la sottomissione delle donne era al centro della vita cinese, della sua struttura e continuità.
In tutte e tre le generazioni, tuttavia, insieme all’evoluzione dei diritti femminili, coesiste una insoddisfazione di base, o, meglio, un elemento disturbante: l’Hong Shui, il destino, una concatenazione di eventi a cui non ci si può sottrarre.
A detta della famiglia delle tre donne, l’Hong Shui negativo è dovuto alla scelta di un avo di mettersi con una donna di un paese diverso: tutte le disgrazie che accadranno saranno dovute a questa scelta infausta; ciononostante, nessuna delle tre si arrenderà docilmente davanti ai colpi del destino.
La misura di quanto ci siamo resi utili sulla terra, durante le nostre brevi vite, forse sta nel vuoto che lasciamo morendo.
Il destino, in questo romanzo, si affronta con determinazione e… con la superstizione. Sono innumerevoli, nel romanzo, le occasioni in cui si ricorre alla magia, agli spiriti, alle preghiere: ogni gesto quotidiano deve essere svolto in una certa maniera per non attirare gli spiriti malvagi.
A me è piaciuto molto: per il tempo che è durata la lettura, sono stata dall’altra parte del mondo.
4 stelle su 5.
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Cina: AIDS, SARS e influenza aviaria
Per capire il presente bisogna conoscere il passato; recente, se possibile.
HIV/AIDS
Alla fine degli anni Settanta, la Cina si comportò come se l’AIDS non la riguardasse, come se fosse una malattia di cui non fosse necessario preoccuparsi. Il problema AIDS in Cina è esploso negli anni Novanta. Perché?
Nella provincia dell’Henan, milioni di contadini poveri vendevano il proprio sangue per raggranellare qualche soldo. Siccome l’AIDS in Cina non “esisteva”, non esisteva neanche nessun tipo di profilassi (ad esempio, i tubicini delle trasfusioni non erano monouso).
Anche l’AIDS cinese ha avuto il suo eroe: donna, in questo caso. La dottoressa Gao Yaojie curava i malati di tasca sua, e si occupava pure degli orfani. Insignita di un paio di premi internazionali, Pechino le ha impedito di uscire dal paese per andare a ritirarli. Anzi: l’ha messa agli arresti domiciliari perché i dati sanitari erano (sono?) segreto di stato.
SARS
I primi casi di SARS si sono registrati in Cina a novembre del 2002, ma il governo ne ha informato l’OMS solo a febbraio del 2003.
L’eroe, a quel tempo, divenne il dottor Jiang Yanyong: anche lui fu insignito di un premio internazionale (il Ramon Magsaysay), ma Pechino gli impedì di lasciare il paese per andare a ritirarlo.
INFLUENZA AVIARIA (H5N1)
Vedi sopra.
Pechino considera le informazioni sanitarie come segreti di Stato. Ancora nel 2008 fece chiudere un paio di siti web che diffondevano dati sull’AIDS e l’epatite.
L’atteggiamento di Pechino, nel caso del Corona Virus, oggi, sembra più aperto, anche perché la tecnologia rende difficile molte forme di copertura.
Uno dei nemici dell’informazione, oggi, è il complottismo, e di questo, vi assicuro che non possiamo dare la colpa al governo cinese.
Proprio stamattina, una signora mi ha detto che il corona virus lo ha fatto Trump per supportare meglio la politica dei dazi.
Capito?
Signori, vi prego: sottraete a Trump il suo Piccolo Chimico.
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Gli avvocati in Cina
Nel 2007 in Cina, il parlamento ha emendato una vecchia legge sul sistema giudiziario, garantendo agli avvocati diritti che in altri paesi erano dati per scontati già da tempo.
Secondo questo emendamento, gli avvocati della difesa ora possono incontrare i loro clienti dopo l’interrogatorio della polizia senza chiedere permesso e le conversazioni con i clienti non devono più essere sorvegliate.
Fino a giugno del 2008, infatti, prima che l’emendamento entrasse in vigore, gli avvocati dovevano richiedere il permesso alla polizia per incontrare i clienti: permesso che non sempre veniva concesso.
Tenete conto che in Cina non esiste la presunzione di innocenza, dunque un avvocato ha le sue difficoltà, per usare un eufemismo…
Senza contare, poi, l’ostacolo del SEGRETO DI STATO.
La definizione cinese di Segreto di Stato è così elastica che può comprendere qualsiasi argomento: il numero dei drogati, dei malati di Aids, i dati sulla pena di morte, sulla disoccupazione, la frequenza delle manifestazioni, l’intenzione di un politico di dimettersi…
Spesso, poi, il segreto di stato è sfruttato da funzionari di ogni ordine e grado per nascondere le proprie mancanze o i propri errori.
Sebbene oggi gli avvocati cinesi godano dell’immunità per le affermazioni esternate davanti a una corte, è ancora vietato, per loro, esprimere opinioni che “minaccino la sicurezza statale, diffamino qualcuno o disturbino in aula” (trad. mia).
Considerate che nel 2006, due anni prima dell’entrata in vigore dell’emendamento, l’Associazione Cinese dell’avvocatura aveva emesso una linea guida, secondo la quale gli avvocati dovevano fornire informazioni confidenziali alle autorità se ne erano venuti a conoscenza durante i colloqui coi loro clienti.
Cosa quanto mai… “disturbante”, considerando che spesso le cause erano intraprese proprio contro le stesse autorità…
Non solo: per le class actions (cause in cui erano coinvolti più querelanti) l’Associazione invitava gli avvocati a richiedere “supervisione e guida” presso gli uffici amministrativi giudiziali.
Gli uffici giudiziali sono parte dei governi locali perciò consultarli significava in effetti consultare gli stessi governi locali che i contadini accusavano di confisca delle terre con compensazioni basse o inesistenti (trad. mia).
Il libro “Cina – la verità sui suoi record sui diritti umani” di Frank Ching non l’ho trovato in italiano. E’ uscito in inglese nel 2008, dodici anni fa.
E’ possibile che in questo periodo sia cambiato ancora qualcosa, ma di sicuro rende l’idea del clima.
Non ci meravigliamo dunque dell’ostruzionismo a cui è stato sottoposto il medico cinese che aveva scoperto il Corona virus.
Prima però di giudicare il governo cinese e di fare di tutta l’erba un fascio, pensiamo a cosa sarebbe successo se la stessa cosa fosse successa in Italia: saremmo stati capaci di intraprendere le misure drastiche che ha intrapreso il governo cinese? Gli italiani si sarebbero adattati così ubbidientemente alle direttive sanitarie? O più semplicemente: avremmo anche solo preso in considerazione l’idea di far chiudere le aziende per qualche giorno?
Io ne dubito.
Se dunque la Cina si rende ancora colpevole di certe pratiche poco umanitarie, smettiamola di sentirci tanto superiori, che anche noi abbiamo i nostri problemini.
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Ultimo quarto di luna – Chi Zijian
A narrare questa storia è una donna evenchi di 90 anni: 90 anni circa, visto che in questo popolo nomade del nordest della cina non si usa segnare la data di nascita da nessuna parte.
La storia arriva fino agli anni Novanta del secolo scorso e ci racconta la vita di questa piccola tribù che vive nelle tende e che alleva renne, la loro grande ricchezza.
L’aspetto che più mi ha colpito è… in quanti modi diversi potevano morire??
Qualche esempio: addormentandosi durante un trasferimento in groppa a una renna, cadendo e morendo assiderati; caduti nei dirupi o dagli alberi; sbranati dai lupi; per incidenti di caccia; suicidi perché volevano o non volevano sposarsi; assiderati in un fiume; colpiti dai fulmini…
E’ una storia piena di tragedie, ma raccontata con toni molto poetici, anche quando le donne si buttano nei burroni per abortire o quando gli uomini restano mutilati nei genitali a causa di una fuga troppo burrascosa (tranquilli, ce n’è anche uno che si castra da solo con un coltello da caccia).
Ma niente è splatter, qui.
Affascinanti le figure degli sciamani, che venivano incaricati dagli spiriti di proteggere la vita degli umani e delle renne (peccato che a volte, per salvarne uno, gli spiriti si prendano la vita di un altro).
E poi arrivano i Giapponesi, e poi se ne vanno, e poi arriva Mao, e la carestia, e la fame, e le trasferte forzose: e, avvicinandoci sempre più agli anni nostri, aumentano i casi di alcolismo, e i giovani diventano vandali, divorziano, abortiscono… il disboscamento diventa cronico… ecc ecc…
A me piacciono i libri con tanti drammi.
Se c’è un difetto, per noi, è che tutti i personaggi hanno nomi molto esotici, e a volte ho rischiato di perdere il filo.
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Sono stato imperatore (Pu Yi) @LibriBompiani
Non sono riuscita a leggere questa autobiografia senza fare il confronto, episodio per episodio, col film “L’ultimo imperatore” di Bernardo Bertolucci.
Per capire le numerose differenze, bisogna tenere a mente che l’autobiografia di Pu Yi è stata scritta in piena epoca Mao (la pubblicazione è avvenuta nel 1964).
Pu Yi non era una grande personalità: era debole di carattere, e i lussi in cui è vissuto gran parte della sua vita non hanno fatto altro che indebolirlo ulteriormente e incancrenire altri suoi difetti, tra i quali la crudeltà aveva un ruolo importante.
Nella biografia, Pu Yi parla del suo vecchio sè con rammarico e vergogna ma ci resterà sempre il dubbio di cosa pensasse davvero: di quanto fosse all’oscuro delle mire giapponesi durante l’occupazione del Manchukuo, dello sfruttamento bestiale del popolo cinese e della situazione internazionale.
La parte più interessante dell’autobiografia a mio parere inizia dopo la costituzione del Manchukuo, lo stato fantoccio: si vede un Pu Yi che pensa continuamente alla sua restaurazione come imperatore, si illude e poi cade, più volte, nella disperazione e nel terrore di venire ucciso, e allora si dà alla pratica del buddhismo e alle superstizioni (arrivando al punto di vietare ai servi di uccidere le mosche).
Quando il Giappone perde la guerra e il Manchukuo cade, Pu Yi finisce per cinque anni in un carcere russo, e, infine, in uno cinese.
Era pronto ad essere maltrattato, deriso, torturato e ucciso e invece… oh! Miracolo! Il comunismo è magnanimo!
E qui lo sbrodolamento inzuppa le pagine: tutti, anche i sopravvissuti a terribili massacri, lo perdonano; tutti si preoccupano solo della sua reintroduzione nella nuova società; la nuova società non è interessata ai suoi numerosi gioielli, e in carcere diventa un vero uomo. Così dice.
Negli ultimi anni avevo appreso qualcosa circa il mio effettivo valore dai miei tentativi di lavarmi gli abiti e fabbricare astucci per matite.
All’inizio avevo detestato il partito comunista, il governo del popolo e le autorità carcerarie, mentre ora non avevo motivo di avercela con loro, e più che mai sentivo che, se le cose stavano a quel modo, era per colpa mia.
La magnanimità dei contadini che avevo ritenuto rozzi, ignoranti e pronti a trar vendetta senza curarsi affatto della politica di clemenza e rieducazione. Adesso erano padroni del proprio destino, e dietro di loro stavano un potente governo e un esercito guidato dal partito comunista.
Una cosa era chiarissima nella mia mente: il partito comunista si serviva della ragione per conquistare la gente.
Mi fermo qui, ma avete colto il senso.
Impossibile sapere quanto Pu Yi fosse davvero convinto di queste lodi e quanto forte fosse la paura, ma anche se si resta col dubbio sulla sua sincerità (quanto ha esagerato i suoi crimini? Quanto ha esagerato la magnanimità del comunismo? Quanto ha taciuto?), questo è un libro che ho letto con piacere.
Voto: 3 su 5.
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Leggere in altre lingue?
Mai e poi mai avrei pensato di arrivare al punto di leggere la Sirenetta, soprattutto la versione edulcorata, tratta dal cartone animato della Disney: bellissime principesse vittime del cattivo o della cattiva di turno, nessuna sfumatura psicologica, e… unico scopo nella vita di una donna: cercarsi un uomo!
Ma come primo livello di cinese, si può fare. Certo, ci metterò un anno a finire di leggere 86 pagine (disegni inclusi), ma già noto una differenza: mentre all’inizio dovevo tradurre ogni singolo carattere (e vai di Pleco app), ora, a pagina 55, qualche cosa già me la ricordo senza controllare tutti i tratti.
Insomma, se per leggere 5 righe (e capirne il significato) ci impiego “solo” mezz’ora, sono fiera di me stessa.
Ovviamente non ho iniziato con la lettura tout court. Il mio primo testo è stato “Dialogare in cinese 1” di Magda Abbiati e Zhang Ruoying (ed. Cafoscarina, con CD incluso), che ho comprato su Amazon a metà del prezzo; purtroppo due capitoli sono saltati: mi sono trovata i capitoli 47 e 48, che farebbero parte del secondo volume… errore di stampa o di fascicolazione? Boh, ho scritto all’editore ma non mi ha mai risposto.
Non importa: il libro di Abbiati-Zhang mi ha dato una spolveratina delle regole di base.
Senza internet, tuttavia, sarei molto più indietro, soprattutto a livello di ascolto: YouTube è una miniera di racconti brevi, e un gran passo in avanti l’ho fatto con LingQ, un sito in cui si può ascoltare e importare testi di propria scelta (il fondatore è Steve Kaufman, canadese, capelli bianchi e una ventina di lingue all’attivo): l’ascolto, in realtà, è quello che prende meno tempo, perché una volta che hai una playlist te la puoi sparare in macchina quando vai al lavoro o dal dottore.
Non leggo spesso libri in lingua straniera: almeno, non tanto spesso come quelli in italiano. Però cerco di tenermi in esercizio sulle lingue che uso al lavoro (inglese, tedesco, francese e spagnolo, nell’ordine di conoscenza): diciamo, un libro per lingua all’anno.
Lo spagnolo l’ho imparato da sola l’anno scorso: è una conoscenza molto passiva, lo scrivo e lo parlo malissimo. Ma riesco a leggermi un libro in lingua originale, e questo era il mio scopo iniziale (poi riesco a capire una mail commerciale? Echissenefrega?).
Il cinese è ancora allo stato brado… non so se riuscirò mai a parlarlo, o a capire qualcuno che mi parla in mandarino, ma lo scopo principale, anche qui, è leggerlo.
Mi ci vorranno anni, molti, prima di leggere “Piccole donne” in cinese: il libro è sullo scaffale che mi aspetta, me lo ha regalato mio marito di ritorno da un viaggio a Shanghai.
Forse “Piccole donne” sarà già troppo difficile, nonostante il testo inglese a fronte…
Bah.
Allora ho un altro paio di libri per bambini…
E poi potrò darmi da fare con gli aforismi di Confucio e le poesie (poesie??) di Mao Zedong…
Ma forse mi sarà più utile il testo di Zhang Jie, a cura di Serena Zuccheri (Hoepli, CD incluso), visto che ha un glossario cinese-italiano alla fine…
Anni, anni, anni.
Ok, prendiamocela con calma. Già è difficile trovare mezz’ora al giorno, tutti i giorni… ma sì, si può fare, basta non fare le pulizie e consumare molti surgelati.
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