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Il vecchio che leggeva romanzi d’amore (Luis Sepùlveda)

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Ma che bel libro…!

C’è tutto quello che si può chiedere a un romanzo: l’amore, la morte, l’avventura, la natura, la riflessione, il giallo.

Sì, il giallo, perché quando il vecchio osserva un corpo straziato o un sentiero nella foresta, ne tira fuori indizi come farebbe un commissario della scientifica; solo che in questo caso gli indizi sono tutti… amazzonici (quanto tempo ci mettono le formiche a spolpare un corpo? Cosa succede all’aria se smette di piovere? Quale animale ha mangiato gli occhi al cadavere?).

Sepùlveda la conosceva davvero bene, questa foresta, e, con la maestria dell’esperienza, è riuscito a farmi sentire il fruscio delle foglie sotto la pioggia e le punture delle zanzare nel naso.

Ci sono molte belle scene…

Una è quella iniziale, col dentista che impreca contro i suoi pazienti, perché è tutta colpa del governo se loro hanno i denti marci; e poi c’è quella del vecchio che cerca di capire come è fatta Venezia, perché ne ha letto su un libro e non riesce a immaginare una città con le strade fatte d’acqua.

E poi c’è la parte in cui il vecchio e i suoi compagni vengono inondati da una cascata di cacca di pipistrelli…

Se ho aspettato tanto a leggere questo libro, il motivo è uno solo: è incentrato sulla caccia a una femmina di tigrillo, un animale impazzito in seguito all’uccisione della sua cucciolata da parte di un gringo. Non sopporto la caccia, non voglio né leggere né vedere scene dove gli animali muoiono.

Certo, lo so che scene del genere, anche se non le vedo, succedono in ogni parte del mondo. E allora che si fa? Il vecchio reagisce così:

(…) si avviò verso El Idilio, verso la sua capanna, e verso i suoi romanzi, che parlavano d’amore con parole così belle che a volte gli facevano dimenticare la barbarie umana.

A volte.

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Racconti brevi da leggere in autobus, AAVV

Se il vostro compagno di banco o il vostro collega si lamentano che non hanno tempo per leggere, suggeritegli un libro di racconti. Brevi, brevissimi, da leggere in sessioni di pochi minuti. Così non avranno scuse (o ne troveranno altre, più credibili, o, forse, finalmente, diranno la verità).

Tramite BookMooch mi son fatta arrivare questo brevissimo libretto (in spagnolo, ma semplice, adatto alle mie basse capacità nella lingua), e mi son gustata dei racconti brevissimi e nuovi, mai sentiti, forse proprio a causa della loro brevità.

Escludendo Oscar Wilde, Alexander Afanasiev, Jack London, Franz Kafka, Katherine Mansfield e O. Henry, ho conosciuto nuovi autori. Eccone alcuni, che magari si possono trovare anche in lingua italiana:

Kate Chopin (1851-1904): nata nel Missouri, ha iniziato a scrivere a 37 anni, ma ha avuto una vita molto criticata dai benpensanti del tempo (fumava, beveva… inaccettabile per una donna).

Rubén Darìo (1867-1916): nato in Nicaragua, considerato il padre del modernismo ispanico. Si dedicò alla carriera diplomatica, il che gli diede la possibilità di viaggiare in Europa e America.

Baldomero Lillo (1867-1923): nato in Cile, nella città mineraria di Lota, autodidatta, ottenne un posto nell’università grazie all’influenza di suo fratello, che era professore.

Joaquim Maria Machade de Assis (1839- 1908): nato a Rio de Janeiro, figlio di un pittore mulatto discendente da schiavi e di una lavandaia portoghese. Senza aver mai ricevuto una educazione formale, imparò da solo a parlare in francese, inglese e tedesco (tradusse Victor Hugo e Poe) e divenne uno degli intellettuali più famosi in Brasile.

Questi racconti mi son piaciuti. Soprattutto quello di Baldomero Lillo, ambientato in una miniera, dove il padre porta il figlioletto di 8 anni perché inizi a lavorare al buio delle gallerie.

Riscopriamoli, questi autori poco letti. Non lasciamoci guidare dalla globalizzazione che ci impone sempre gli stessi scrittori (a volte neanche tanto bravi).

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L’albergo delle donne tristi, Marcela Serrano @Feltrinellied

L’Albergo è stato fondato da Elena per dare rifugio a donne che hanno bisogno di raccogliere i propri cocci. Ognuna può starci al massimo tre mesi. Ci sono delle attività di gruppo e dei lavori manuali da svolgere. Ma, soprattutto, si parla e si riflette.

I casi umani che si raccolgono all’albergo sono l’uno diverso dall’altro, ma ogni donna ha un problema legato, in un modo o in un altro, agli uomini. Son sempre che parlano di uomini, di quanto non ci capiscono, di quanto hanno paura di noi donne, di quanto ci sfruttano.

Floreana, storica, si è ritirata là per dimenticare un lutto e una delusione d’amore. Nonostante i propositi di dedicarsi alla castità, si sente subito attratta da Flaviàn, l’affascinante quanto scostante medico del paese. E qua inizia il tiritera: lo vuole ma ne ha paura. Lui si capisce che è attratto da lei ma ha paura.

Insomma: paura d’amare.

Il tema non è nulla di nuovo, ma anche tutti i discorsi che vengono fuori da questa torma di donne non brilla per originalità. Parlano di divorzi, figli, sesso, orgasmo, incomunicabilità. Molti i luoghi comuni.

Trovo poco realista sia il cameratismo che si instaura tra le donne dell’albergo (privo di invidie e malignità: ma dove vive la Serrano? Dove le ha prese queste donne?) sia i discorsi che fanno tra loro, troppo verbosi, troppo intimisti, troppo cinici verso gli uomini. Donne troppo legate al fumo e agli alcolici, sempre che fumano e pensano al alla vodka (tanto che Elena ha dovuto metterci un divieto): ma fatevi curare, viene da dir loro…

Non è certo un libro che mi ricorderò da qui a qualche mese.

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