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Cani selvaggi (Helen Humphreys)

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Non conoscevo questa autrice canadese: ve la consiglio!!

L’espediente narrativo che ha usato in questo libro è di mettere insieme sei persone, molto diverse l’una dall’altra, ma tutte con un problema comune: ognuna di loro ha perso il proprio cane (scappato o abbandonato), che si è unito a un gruppo di cani selvatici nel bosco.

Tutti noi abbiamo paura delle persone con cui viviamo, di quelle che hanno dato via i nostri cani. Se non avessimo paura di loro, loro non avrebbero avuto l’autorità di fare ciò che hanno fatto.

Ogni sera, allora, si trovano tutti e sei ai margini del bosco e ognuno chiama il proprio cane.

La storia è raccontata da diversi punti di vista.

Incomincia Alice, che si è innamorata della biologa del gruppo.

Poi c’è Jamie, un adolescente che cerca di crescere prima del tempo avvicinandosi ad amicizie poco raccomandabili per dimenticare la situazione che lo aspetta a casa.

C’è Lily, una ragazza con dei problemi intellettivi causati da un incidente

Parla anche Spencer, che non appartiene al gruppo, ma che sarà fortemente toccato dal destino di Lily (destino causato da lui, ma non faccio spoiler).

Un altro punto di vista è quello di Malcom: anche lui ogni sera va a chiamare il suo cane, e siccome Alice ha appena mollato il suo ragazzo ed è rimasta senza casa, le offre di dormire nel suo capanno. Ma anche Malcom ha dei problemi mentali..

Al di là della vicenda che li unisce, l’autrice affronta vari temi.

In un rapporto di coppia (o cane-padrone) bisogna fidarsi o bisogna mantenere un certo grado di paura?

Perché i cani se ne sono andati e cosa li trattiene nel bosco? Sono cambiati rispetto a quello che erano una volta o sono diventati quelli che erano già? E questo succede anche alle persone?

Non riuscivamo ad immaginare un mondo per loro del quale noi non fossimo il centro.

Credo che i cani siano una metafora della vita: sono addomesticati, vivono delle nostre abitudini, e poi all’improvviso cambiano. Sono diventati selvaggi o lo sono sempre stati, in realtà? E noi siamo addomesticati del tutto o possiamo ancora cambiare?

E’ un romanzo davvero pieno di riflessioni che ognuno può adattare a se stesso.

5 Stelle su 5.

L’acqua ha sempre qualcosa da fare. Dà sempre l’idea di avere un posto importante dove andare. Anch’io vorrei sentirmi così.

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Grey Owl – La storia di Gufo Grigio (Lovat Dickinson)

Negli anni Trenta, Gufo Grigio era un personaggio famoso in Inghilterra e nel Nordamerica. Indiano meticcio, raccoglieva migliaia di persone alle sue conferenze spiegando come aveva vissuto nelle foreste del Canada insieme alla moglie e a due cuccioli di castoro; aveva abbandonato il suo passato di cacciatore per dedicarsi alla tutela dell’ambiente e degli animali e aveva scritto in merito diversi libri e articoli

Alla diffusione del suo mito aveva partecipato anche Lovat Dickinson, l’autore della presente biografia: ne aveva pubblicato un libro, che era stato un bestseller e la migliore fonte di guadagno per la sua casa editrice, e ne aveva organizzato diverse conferenze.

Peccato che nel 1938, alla morte di Gufo Grigio, il palco rovinò fragorosamente: venne a galla la vera identità di Gugo Grigio, che in realtà era inglese di nascita, aveva ricevuto un’educazione classica (con tanto di lezioni di piano) e aveva vissuto fino ai 17 anni presso le due anziane zie.

Lovat Dickinson all’inizio rimase scioccato dalla notizia: si diede da fare per ripristinare quella che lui credeva fosse la verità, ma dopo attente ricerche, dovette soccombere e ammettere di aver preso un granchio.

Gufo Grigio era in realtà Archie Belaney, nato ad Hastings in Inghilterra nel 1888. A diciassette anni era approdato in Canada in cerca di libertà ed aveva imparato le tecniche di sopravvivenza e di caccia direttamente dai locali.

Come suo padre, soffriva di “claustrofobia domestica”: ebbe alcune mogli, alcune contemporaneamente, e non si può certo vantare il suo spirito genitoriale, visto che seminò figli in giro senza darsi molto pensiero del suo sostentamento. Amava le donne e gli piacevano i bambini, ma dopo un po’, sentiva il richiamo della libertà e se ne andava.

Ciò non toglie che era un personaggio singolare. Dedicatosi alla caccia al fine di vendere pellicce di animali, una volta sposatosi con Anahareo, di stirpe indiana, e dopo l’adozione di due cuccioli di castoro si accorge dello scempio compiuto dall’uomo sulla natura e abbandona il suo mestiere dedicandosi alla scrittura e alla tutela dell’ambiente e abbracciando l’idea di ripopolamento faunistico di zone naturali.

Era un tipaccio: era capace di esprimersi in un inglese stentato, solo per rinforzare l’immagine indiana che dava di sé, e non lesinava il ricorso al coltello e alle zuffe, tanto che ebbe diversi guai con la legge.

Però incantava le platee e i suoi libri venivano venduti e… letti. Forse per via del personaggio che aveva creato, forse per via del difficile tempo in cui vivevano (anni Trenta: la gente era stanca di destreggiarsi tra dittatori e insicurezza, aveva voglia di un’Arcadia, un’utopia che la distraesse dai problemi del momento).

Un uomo con poche luci e molte ombre, ma chi lo ha incontrato non l’ha più dimenticato.

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I giardini di Ceylon, Shyam Selvadurai, @ilsaggiatoreed

Quando fuori c’è l’inverno grigio e gelato, niente è meglio di un libro che parla di monsoni, palme da cocco, verande colonnate, sari di cretonne, distese di piante da tè, Sri Lanka…

I protagonisti sono due: Annalukshmi, insegnante ventitreenne a cui la società impone di scegliere tra il suo amato lavoro e un marito (già, non si possono ottenere entrambi); e Balendran, il suo ricco zio, costretto a rinunciare a un amore omosessuale per prendersi cura della propria famiglia.

La vicenda, ambientata negli anni venti, è molteplice e coinvolge molti personaggi, tutti ben delineati, ognuno con una sua caratteristica prevalente che te li fa odiare o amare. C’è, ad esempio, il padre di Balendran, che ha costretto il figlio maggiore, Arul, ad abbandonare Ceylon dopo aver scelto una donna di casta inferiore come moglie. C’è Nancy, la figlia adottiva della direttrice della scuola in cui lavora Annalukshmi, che si innamora di un impiegato povero coinvolgo con le prime sommosse sindacali del paese. Ci sono le sorelle di Anna, che si gasano a mille appena un rappresentante del sesso opposto rivolge loro la parola. C’è la madre di Balendran, che non parla inglese, che sembra un personaggio secondario ma che alla fine risulta essere quella che conosce meglio le dinamiche familiari e sociali.

Si tratta di un romanzo storico, che ben intreccia vicende private e pubbliche.

L’autore ha parlato in modo variegato, ma non superficiale, delle varie opinioni del tempo nei confronti del dominio inglese. Noi, oggi, diremmo: autonomia! Libertà! Suffragio universale! A casa i colonialisti! Ma allora non era così semplice. Se al dominio inglese si sostituisce un dominio locale, i poveri ne trarranno davvero giovamento?

I finali non sono scontati. La nostra mentalità romantica ci farebbe preferire una certa evoluzione, ma l’autore ha ben tenuto conto sia dei tempi, che dell’ambiente sociale che dei caratteri dei personaggi. Se il romanzo inizia con un enorme scompiglio a causa di Annalukshmi che va a lavorare in bicicletta, non può finire con un gesto teatrale poco realistico… però il finale è rimasto aperto, ha dato il là, ha fatto capire come si è evoluta la personalità di Anna, e ci lascia il piacere di lasciarla andare alla propria vita.

Un bel libro.

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Chi ti credi di essere? – Alice Munro

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Pubblicato dall’Einaudi nel 2012 con questo titolo, in Canada lo si trova anche sotto “The beggar maid”, come la copia che ho io.

La Munro è un’ispettrice della psicologia femminile: rende benissimo gli alti e bassi dell’umore delle donne, le miserie, i dubbi. Rende, secondo me, meno bene i momenti di allegria. Ma, dopotutto, in un libro di momenti di allegria ce ne devono essere pochi, altrimenti manca il contrasto, il motore principale dei romanzi.

In teoria questa è una raccolta di racconti, ognuno compiuto, però hanno come protagonisti sempre le stesse persone: Flo e Rose, madre (adottiva) e figlia, e relativi parenti/amici. Un personaggio ben riuscito secondo me è Patrick, il marito (e poi ex marito) di Rose: uno che teme le apparenze, che si adegua alle aspettative altrui, materne in primis. E’ lui, secondo me, il personaggio da tenere sott’occhio: per evitare di assomigliargli.

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How a writer can be Dangerous…

… By showing the little scraps of truth that each of us carries in the body.

Alice Munro, The Beggar Maid.

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