Dopo le superiori non ho più letto niente di storia rinascimentale. Ogni tanto mi piace leggere un saggio sulla seconda guerra mondiale o sulla diaspora degli ebrei, ma si può dire che dal Seicento in giù io non abbia più letto nulla a partire dai diciotto anni.

Quando si sente nominare il cognome “Borgia”, io rimango ferma agli stereotipi comuni, che mi fanno venire in mente una famiglia malefica, dedita all’incesto e all’avvelenamento degli avversari politici.
Non che questi elementi siano estranei alla storia della famiglia Borgia, ma le persone, anche quelle dei secoli passati, sono molto più di quello che la gente comune ricorda.
Nel libro “LA SAGA DEI BORGIA” di Antonio Spinosa, infatti, la storia inizia dalla fine, con un santo, Francesco Borgia, che è un pronipote di Papa Alessandro VI.
Francesco Borgia era ossessionato dai peccati dei suoi avi: era convinto che ogni disgrazia che gli capitava (ad esempio, la morte della madre e della moglie) fosse una conseguenza del male commesso da papa Borgia e dalla sua progenie.
Da questa ossessione per i peccati degli avi alle autofustigazioni e ai digiuni protratti, il passo è breve. Aggiungiamo poi un allungamento delle sessioni di preghiera, che duravano ore ed ore, molte opere di umiltà e servizio più qualche presunto miracolo, e la candidatura a santo è servita su un piatto d’argento.
Non mi sta antipatico, questo santo Francesco Borgia, anche se – incontrandolo oggi – avrei delle difficoltà a scindere le buone intenzioni dalla sua carica di fanatismo.
E vi dirò, che dopo la lettura del libro di Spinosa, non mi stanno tanto antipatici neanche Papa Alessandro VI e Lucrezia Borgia.
I Borgia avevano radici spagnole: se Alessandro VI ha cercato di attorniarsi di parenti e di lasciare a loro cariche redditizie, lo ha fatto anche per costruire un cuscinetto tra la propria persona e tutti quelli che lo odiavano in quanto straniero.
Savonarola lo considerava un anti-cristo.
Beh… Alessandro VI era praticamente ateo. Ma ha fatto quello che molti al suo posto avrebbero fatto avendone la possibilità: si è impossessato di una carica proficua e l’ha fatta rendere (cosa che fanno ai giorni nostri molti politici). A quel tempo le cariche ecclesiastiche ti davano una possibilità, e lui l’ha presa.
E che dire di Lucrezia?
E’ stata allontanata giovanissima dalla madre, tale Vannozza, locandiera, che per anni fu la preferita di Alessandro VI: e proprio il papa sottrasse la figlia alla madre per darle una educazione che si adattasse all’ambiente che avrebbe dovuto frequentare.
Poi, quando Lucrezia si innamora di un tipo, le impediscono di sposarlo, perché, per ragioni politiche, deve sposare, per forza, uno Sforza.
Voglio dire: ad un certo punto è normale che a una girino pure le palle e che se la prenda col mondo. Non c’è da meravigliarsi che si sia dedicata alla manifattura dei veleni.
Poi anche lei ha fatto quello che avrebbero fatto altre al suo posto: ha approfittato della sua posizione.
Ma alla fine della sua vita, gli ultimi dieci anni, quando è stata signora di Ferrara, è riuscita a viverli da donna costumata, addirittura amata dalla popolazione e dal suo signore.
I giudizi morali, nei secoli, si semplificano, e si perdono le sfumature delle persone, che sono trasformate in personaggi.
Eppure, chissà: forse se papa Borgia, Lucrezia o il duca Valentino potessero vederci, ora, dal luogo in cui si trovano, magari sarebbero contenti di vedere che ci ricordiamo ancora di loro.
Meglio essere ricordati male che non essere ricordati per niente.
Interessante. Effettivamente di molti personaggi sappiamo poco e per sentito dire. Mi interessano le biografie, cercherò questo libro.
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