Lo scrittore americano Richard Ford racconta i suoi genitori.
Il libro è diviso in due parti, la prima dedicata a suo padre e la seconda a sua madre.
Entrambi erano persone semplici.
Suo padre veniva dalla campagna, era un tipo di poche parole, ultimo figlio di una vedova di marito suicida. Per tutta la sua vita lavorò come commesso viaggiatore in un’azienda produttrice di amido per bucato.
Sua madre lavorò in un negozietto, poi, dopo il matrimonio, viaggiò insieme al marito negli stati del Sud. Una volta nato Richard, divenne una casalinga a tutti gli effetti: era quello che facevano le donne in quegli anni.
Richard Ford non sa molto della vita dei suoi genitori prima della sua nascita: loro non parlavano molto. Non erano portati alla descrizione, al racconto, un po’ per pudore, un po’ per mancanza di preparazione.
Ho così tentato, meglio che potevo, di scrivere solo di ciò che fattualmente sapevo e non sapevo. I miei genitori, dopo tutto, non erano fatti di parole. Non erano strumenti letterari utilizzabili per evocare qualcosa di più grande.
Eppure Ford, scrittore, che di parole vive, ribadisce più volte di aver avuto un’infanzia felice.
E’ un libro di 132 pagine in cui succede molto poco, eppure quel poco è tutto quello che conta: un po’ come la vita di tutti noi.
Il mondo spesso non ci nota. La comprensione di questa realtà è stata un impulso cruciale per quasi tutto ciò che ho scritto in cinquant’anni.
Le vite dei nostri genitori, anche quelle avvolte dall’oscurità, sono per noi la prima, forte assicurazione che gli eventi umani contano.
Un libro sull’accettazione della vita. Quasi un suggerimento.
L’unica cosa che conta, quasi sempre, è quello che facciamo.
Grazie, buona giornata! 🙂
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