Cina, seconda metà del secolo scorso.
Chi ha bisogno di soldi, l’equivalente di sei mesi di lavoro in campagna, vende il sangue.
La vendita del sangue è l’espediente a cui Yu Hua ricorre per narrare la vita di Xu Sanguan.
Il primo guaio che deve affrontare, e per il quale gli servono soldi urgenti, è quello procuratogli dal figlio Felice Uno, che spacca la testa al figlio del fabbro Fang.
Un’altra volta, vende il sangue per fare dei regali a una collega con la quale è finito a letto.
Un’altra volta per dar da mangiare alla famiglia, ridotta pelle e ossa a causa di un’inondazione e di una carestia (ma anche della politica di Mao).
Un’altra volta per offrire una cena sontuosa al capobrigata del figlio Felice Due, perché un’accoglienza insufficiente rischierebbe di causare al figlio grosse difficoltà.
Infine, Xu Sanguan ricorre alla vendita del sangue, più volte, per salvare la vita al figlio Felice Uno, ammalatosi di epatite, che deve essere curato a Shanghai: lo vende più volte, lungo il tragitto da casa fino all’ospedale, rischiando la vita (e attenzione, che Felice Uno non è suo figlio, anche se lui lo ha creduto per nove anni).
All’inizio, la lettura mi è risultata un po’ difficile: lo stile è molto ironico, i protagonisti parlano gesticolando molto, si ripetono, un po’ come nei film di Bruce Lee; poi però si capisce che dietro certe scene apparentemente comiche si celano dei drammi non indifferenti.
Lungo tutto il romanzo, serpeggiano paure: di morire di fame, di perdere la faccia davanti alla comunità, di scialacquare il sangue, simbolo di forza, vita e retaggio degli avi.
Della storia della Cina si parla solo indirettamente.
Di Hua ho letto Il settimo giorno; anch’esso sviluppato a partire da un espediente, descrive certe idiosincrasie, tipiche della società cinese. Così mi pare questo romanzo. Lo stile di Hua, almeno per quello che ho letto, mi piace molto: sotto una apparente levità, si nasconde un intento ironico, financo sarcastico. E’ un autore di cui vorrei leggere altro, a partire da questo romanzo di cui oggi parli.
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Grazie del suggerimento. È anche vero che i cinesi hanno vissuto un novecento piuttosto disgraziato 😣😣
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