No, non ho scelto il libro perché il titolo, in questi giorni di COVID-19, è beneaugurante, tant’é che questo romanzo non ha nulla a che fare con i virus: si parla di ufficio e di impiegati.
Siamo a Chicago in una grossa agenzia pubblicitaria. La storia è raccontata dal punto di vista di un “noi” non meglio precisato.
In realtà non c’è una vera e propria storia, ce ne sono tante: tutto è pettegolezzo, tutto è riportato, tutto è chiacchiera, tutto è dialogo. Raccontare quello che si sa (o si pensa di sapere) degli altri è lo sport ufficiale.
Lynn, la socia fredda e orientata al business, ha un tumore al seno, ma se ne avrà la certezza solo dopo metà libro. Tom Mota è (forse) pazzo e si aspettano che, dopo il licenziamento, torni ad uccidere tutti. Amber è incinta di Larry, che però non vuole mettere a repentaglio il suo matrimonio e che vorrebbe che lei abortisca.
Carl, sposato con un’oncologa, è in depressione e ruba le medicine di una collega, anche lei in depressione perché le hanno rapito e ucciso la figlia di otto anni.
Ho avuto le mie difficoltà a inquadrare tutti i personaggi, perché sono tanti, e l’unica caratteristica che li unisce è lo spauracchio del licenziamento.
Faccio notare una cosa: della vita che ognuno di loro conduce fuori del lavoro non si sa quasi nulla. Sintomatico il fatto che la vicenda attraversa l’11 settembre e questo non viene neanche nominato.
Alla fine la lettura ti prende, però questo libro non finirà nella lista dei miei libri preferiti.