(…) i fatti sono sempre stati per me appunti, annotazioni:
il mio modo per saltare dalla realtà alla fantasia.
(Philip Roth, “I fatti”)
I libri servono a cercare la Verità? A cercarla, sì. A trovarla, no. Perché la Verità non esiste. Esistono solo le interpretazioni che ne dà chi la cerca, o la giudica, o la sfrutta.
Ma la Verità, no, non c’è.
Guardatevi da coloro che vi dicono che la Verità esiste.
Sono spesso adepti di qualcosa, quelli che si consolano dicendosi di aver trovata la Verità, di solito in una religione, un gruppo, un partito. Ma le istituzioni, che spesso nascono proprio per cercare la verità o per proteggere quella che credono essere una Verità, col tempo rinnegano se stesse, dedicandosi più alla propria autoconservazione che allo scopo iniziale.
Gli adepti spesso non sanno di esser tali, e se glielo fate notare, vi fate un nemico.
A nessuno piace ammettere di covare delle idee per semplice spirito di appartenenza: l’autogiustificazione è una delle più persistenti caratteristiche umane. Ci si giustifica con la violenza o, per i più fini, con le parole, ma ci si giustifica sempre. L’autogiustificazione dovrebbe entrare nella piramide dei bisogni umani.
Gli adepti, in particolare, sprecando montagne di energia per giustificarsi, perdono lucidità, e ciò non ha niente a che fare con il loro livello culturale, perchè l’adesione a un’istituzione è più un fatto emotivo che razionale, risponde a bisogni ancestrali che si possono camuffare ma non eliminare.
E allora, perché leggere? O, nel caso di Roth, perché scrivere un’autobiografia e intitolarla “I fatti”? Per cercare la Verità. Che è un po’ come cercare la Felicità, di americana memoria.
Ci basta cercarla, la Verità, a differenza degli adepti, che sono convinti di averla trovata.
I fatti, di Roth e di chiunque altro, vengono raccontati o taciuti, e questo è già un travisamento della Verità.
Quando subentra una scelta, la Verità gira l’angolo.
La foto del post non è la Verità: già il bianco e nero è una scelta, l’inquadratura, l’ora in cui l’ho scattata; e non dice nulla di quanto abbiamo mangiato prima, se era buono, riscaldato o cucinato fresco, nè ci dice di cosa abbiamo parlato durante il pranzo o chi butterà le carte nel cestino.
La tavola con i resti del pranzo è un fatto: la foto è un cumulo di scelte.
La Verità della tavola non è stata colta.