Libro intervista
Moravia è stato spesso accusato di essere un figlio di papà, un rampollo viziato e fortunato.
Bisogna dire che veniva da una buona famiglia: aveva una governante francese, i genitori si potevano permettere di andare all’opera, e il padre, architetto, lo mantenne ben oltre i trent’anni (fino al matrimonio), pagandogli anche i viaggi di piacere.
Fu il padre che gli prestò i soldi per pubblicare il suo primo libro, Gli Indifferenti, scritto tra l’altro ad un’età precocissima.
Tuttavia Moravia si è sempre difeso dicendo che ha avuto anche lui il suo periodo di sofferenza finanziaria (anzi, dice chiaramente “eravamo poveri), e in questa intervista ne parla senza amarezza, come di un’esperienza come un’altra.
Il primo evento che lo ha segnato stato la malattia: per tutta l’infanzia è stato malato, è stato anche in sanatorio, e anche una volta ufficialmente guarito si è sempre sentito l’ombra della malattia sul collo.
E poi ci sono state le donne.
Ha avuto tre mogli, Elsa Morante, Dacia Maraini e Carmen Llera, ma la schiera di avventure e innamoramenti è molto, molto lunga. Probabilmente se seguite il mio blog avete già intuito che sono un po’ talebana, e infatti questa facilità nell’andare a letto con donne appena conosciute mi lascia perplessa, ma non sono un uomo, forse i maschi ragionano in modo diverso.
Moravia non è il mio scrittore preferito. Ho come l’impressione che i suoi libri abbiano ottenuto quel successo enorme solo per casualità fortunate (pubblicazione nel momento giusto, appartenenze politiche, enorme rete di conoscenze).
La sua vita però è stata all’insegna del cosmopolitismo, e questo mi piace, nei scrittori e in tutti quanti.
Viaggi, viaggi, viaggi, ma non solo toccata e fuga: sono le persone dei paesi stranieri che ti permettono di toccare con mano la cultura diversa e Moravia doveva essere un tipo, alla fine, socievole, nonostante il cipiglio che gli si è attaccato alla faccia in vecchiaia (diciamo anche che la sua rete di conoscenze si nutriva da sé, visto che si faceva scrivere lettere di introduzione dai personaggi che conosceva e che gli permettevano di venir ammesso a molti salotti letterari a livello europeo).
Mi permetto di riportare una frase dell’autore, che parla della sua impressione appena sceso negli Stati Uniti negli anni Cinquanta:
La sensazione in America fu di un grande paese, in cui gli italiani non contavano nulla.
E’ una frase che gli italiani tenderanno a giustificare: erano gli anni Cinquanta, ora è diverso.
No, gente. Gli italiani non contano nulla nel mondo, adesso come allora. Siamo noi che ci gloriamo del nostro fastoso passato e crediamo che tutti ci studino e ci pensino: parlate con l’uomo medio americano, o cinese, o africano, o australiano, e chiedetegli la nostra forma di governo, il nome del nostro presidente della repubblica, o di un autore o cantante contemporaneo. Resteranno muti.
La biografia è interessante anche per tutte le opinioni che Moravia esprime sui più importanti personaggi letterari del Novecento: vi assicuro che li ha conosciuti quasi tutti (Prezzolini, Malaparte, Visconti, Pasolini…); per non tacere delle opinioni che lo scrittore ci semina qua e là in merito alla sua arte e che possono essere considerate come perline di saggezza per chi mira alla carriera letteraria.
Nonostante l’interesse di questo libro-intervista, Moravia non mi è diventato più simpatico di prima. Frasi come quella sotto mi hanno impedito di prenderlo a benvolere:
A quei tempi Borghese e Pancrazi, altro critico del Corriere della Sera, potevano creare uno scrittore, per quel centinaio di lettori che si interessavano di letteratura. Oggi questo non è più possibile, ci sono più lettori, è vero, ma la letteratura non è più qualche cosa di culturale, è un prodotto industriale come un altro.
Come a dire, che la cultura letteraria è solo quella creata dai critici, (che – si sa – possono essere ben di parte coi propri amici) e non dai lettori che formano il popolo “normale”.