Gli autori italiani sono troppo accademici e troppo bisognosi di mettere in mostra le loro approfondite ricerche (che denotano un lavorone, si intenda, ma spesso il metterle in mostra va a detrimento della leggibilità e della passione).
Se la storia di Malaparte fosse stata scritta da un autore anglosassone, la biografia sarebbe diventata un bestseller, perché i contenuti, nella vita di questo scrittore, non mancano.
Malaparte era figlio di un tedesco stabilitosi a Prato per lavoro alla fine dell’Ottocento. Il suo cognome era infatti Suckert, e lo cambiò nel 1925, desideroso di dichiararsi italiano a tutto tondo, anche anagraficamente.
Guerri, nell’introduzione, ringrazia tutti quelli che gli hanno permesso di ricostruire la vita di Malaparte ma non si dimentica che due personaggi molto noti hanno rifiutato di cooperare: Oriana Fallaci e Alberto Moravia; entrambi lo avevano conosciuto e frequentato.
Dei motivi della Fallaci non posso dir nulla, ma di Moravia ho letto recentemente un romanzo-intervista. Ecco cosa diceva di Malaparte:
(…) era talmente vanitoso…
Preferiva la gente di potere.
Non posso essere amico di uno scrittore che non è un buon scrittore.
Insomma, Moravia non lo stimava molto, diceva di lui che era un buon giornalista, non uno scrittore, come invece Malaparte amava definirsi.
Nonostante il Suckert fosse prodigo di elementi autobiografici nella sua opera e nelle interviste che rilasciava, in realtà ricostruire la sua vita è stato difficile perché ogni dettaglio che usciva dalla sua bocca era travisato e ricostruito a bella posta.
Malaparte ci teneva ad apparire: era malato di protagonismo, e non disdegnava né duelli (ne fece almeno 16, spesso per futili motivi) né avventure, sentimentali e di altro tipo, e fu spesso vittima di bastonature e incarcerazioni.
Quel poco che ho letto me lo fa vedere come un opportunista che si compiace di frequentare le fasce alte del potere, lasciandoci a volte confusi sulle sue trasmigrazioni politiche: inizia come repubblicano per poi diventare fascista e poi, sembra, comunista, ma le sue teorizzazioni sono sempre state un magma di motivazioni confuse.
Nei rapporti con Mussolini, ad esempio, Guerri dice:
Malaparte non perse mai di vista le debolezze dell’uomo bollandone spesso i difetti umani e i limiti intellettuali e politici (…).
Malaparte era troppo ironico, raffinato, beffardo e innamorato di se stesso per cadere ai piedi di quel demiurgo rozzo e ignorantello del quale vedeva bene, anzitutto, l’animo femminile. Un animo che Mussolini rivelava nel modo di cedere ai forti, a chi gli si presentasse a viso duro, nella sua innata timidezza a trattare a tu per tu con un altro uomo nel quale avvertisse un qualsiasi segno di superiorità. Capirlo del resto era fin troppo facile per Malaparte, che aveva identica natura.
Che sia questa personalità ambigua ed individualista a non farmi piacere il libro?
Sospesa la lettura a pag. 83 (su 310).