Letture in corso: Vitaliano Trevisan, Works

(…) il lavoro, anche se non è la vita, trasformando nel tempo l’individuo, sia fisicamente che spiritualmente, la influenza comunque in modo determinante.

E questa è una grandissima e tristissima verità, perché il lavoro al giorno d’oggi quasi nessuno se lo sceglie: ci capiti.

Tristissima verità quando capiti in posti come questo (e tutti i posti in cui ho lavorato sono più o meno così, non importa la grandezza dell’azienda, il settore, il fatturato, la forma giuridica):

 
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Le bestemmie nei posti di lavoro del Nordest sono come l’aria: le respiri.

Difficile non ripeterle, anche magari solo mentalmente, anche magari solo quando un collega o un cliente insistono, insistono, e insistono con modi ironici prima e sarcastici poi; e se non gli dai retta vanno dal titolare, tanto per ricordarti che alla fine, tu puoi dire e fare quello che vuoi, ma la tua decisione verrà ribaltata, perché sei solo un’impiegatina o un operaietto, e magari c’hai pure una laurea con lode, ma il titolo non lo puoi usare, neanche di fronte ai buzzurri che nel loro ruolo hanno più forza di te, perché lavorano là da più anni di te, o perché fanno guadagnare all’azienda più soldi di te, o perché si vestono meglio di te…

Ecco, leggendo Vitaliano Trevisan ne ho assorbito lo stile e i contenuti… o forse ha solo tirato fuori quello che cerco di sotterrare?

Poi, leggendo Trevisan, fioccano le associazioni mentali e mi vengono in mente tutte le vicende che mi hanno fatto innervosire e che continuano ad innervosirmi al solo pensarci. Come quando una volta il titolare mi aveva detto di andare a ritirare il risultato degli esami del sangue di una sua collaboratrice… e io mi sono rifiutata, e, oltre alle bestemmie di rito, mi sono presa frasi del genere: “quando ti do un ordine tu devi eseguire!” oppure “tu non devi pensare, tu devi fare quello che ti dico io e stare zitta!”.

Perché nel mondo occidentale lo status di essere umano pensante, davanti a uno che ha fatto i miliardi col suo lavoro, cade in ombra.

Ma alla fine, la colpa è mia, perché sono io che non trovo “giusto” che i capi chiedano ai dipendenti di svolgere compiti che non rientrano nelle loro mansioni, che chiedano ai subordinati di andare a ritiragli i vestiti in lavanderia o cose del genere. Devo mettermi in testa che questo comportamento è normale, rientra nella norma. Punto.  Basta sperare in una realtà ideale! In fondo, dobbiamo essere grati di avere un lavoro…

Ma bando alle lamentele: niente è più permanente del cambiamento.

Ps: i risultati degli esami del sangue poi, alla fine, se li sono andati a ritirare da soli.

 

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Filed under autobiografie, Libri & C., Scrittori italiani

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