Shapiro è un corridore e un insegnante di filosofia americano. In questo saggio parla, più che delle difficoltà fisiche nella corsa, delle difficoltà mentali: dei freni che ci impediscono di iniziare, delle immagini mentali che ci rallentano o ci fanno fermare mentre corriamo, della dukkha (=sofferenza) che ci travolge prima della gara e quando siamo bloccati sul divano per un infortunio…
Il suo approccio è solo apparentemente facile: se può sembrare easy la corsa contando i passi del solo piede sinistro, in realtà il raggiungimento della completa consapevolezza nell’atto di appoggiare il tallone a terra è – almeno per me – molto difficile.
Una cosa è mettersi davanti a una candela e concentrarsi sul respiro; tutt’altra cosa è concentrarsi sul respiro quando… il respiro lo hai perso per strada!
Il libro è comunque piacevole, per chi inizia a correre, anche perché Shapiro non tace sulle sue difficoltà, sui suoi infortuni e sulle rognette che la corsa gli ha causato in famiglia.
Per di più, lungo tutto il saggio ci sono le massime del Buddha; alcune mi erano del tutto nuove.
Non credo in un destino che colpisce le persone comunque agiscano. Ma credo in un destino che li colpisca a meno che non agiscano.
Ci sono solo due errori che si possono fare nel cammino verso la verità: non andare fino in fondo e non iniziare.
Non sarai punito per la tua rabbia. Sarai punito dalla tua rabbia.
Ma c’era davvero da tirare in ballo lo zen?
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Lo zen è un modo di vivere, lo puoi applicare a tutto. Trovata commerciale? Può darsi. Ma ognuno può applicare per sé quello che si sente. A parte questo, tu corri?
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Cammino. Sul correre e il camminare ho scritto qualcosa a proposito del libro di Murakami http://carlomenzinger.wordpress.com/2013/05/01/lo-scrittore-corrente-e-lo-scrittore-camminante/
Lo zen è una disciplina affascinante e certo può essere applicata alla corsa, ma mi chiedo quanto questo sia fatto correttamente nel volume.
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