In tempi di decadenza

Mulini a vento, Dalì

In tempi di decadenza, tappate la bocca al vento che ci parla di occhi d’angeli. Tappategli l’anfratto osceno che cita i nostri sogni e distorce il passato che non sappiamo ricordare. Prendete il suo volto tra le mani e voltatelo altrove, che non ci guardi, che non ci pensi, che senta le profondità in cui abitiamo e che ci porti un po’ di sole.
Se ne è capace.
Che scriva, con la polvere di carbone di cui è gonfio, la storia della nostra caduta.
Smetterà di palparci in cerca di profili ormai consunti, di annusarci le anime marce per poi vomitarle.

Chi è stato a chiamarti?
Tampona i decibel: siamo diventati intolleranti al rumore, ne inghiottiamo a manciate e lo sfoghiamo in brufoli che sono stonate casse di risonanza.
Abbassati: spalma sulla terra le parole coagulate, seppelliscile con una palata di oblio, strozza l’eco che riproduce i nostri gesti; soffiaci un embolo in cui spiare un futuro alternativo.
Fermaci.
Hai sopportato in silenzio l’assenzio dei nostri vuoti: ora abbi pietà di noi e donaci, in un geto di nobile nemesi, un coperchio di silenzio che soffochi la bestemmia del nostro divenire.

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