Altri colori, Orhan Pamuk

Una serie di articoli, saggi, interviste, riflessioni… alcuni brani mi sembrano semplici pagine di diario, ben scritti, come può scriverli bene chi si allena da trent’anni a tavolino con carta e stilografica, ma i dettagli di una quotidianità interessano a tutti? La risposta non è scontata, neanche se a descrivere queste minuzie è un premio Nobel. Lascio la domanda in sospeso, io la risposta me la sono già data.

Gli piace indagare sulle ambivalenze, sulle contraddizioni. Non ama l’impegno pubblico ma in alcune occasioni è venuto a galla, per esempio durante il golpe militare in Turchia del 1980: doveva farlo, era in ballo la libertà di parola e pensiero. Faccio un confronto con la situazione italiana: i golpe militari e i regimi dittatoriali in genere, da questo punto di vista sono comodi, ci si accorge meglio se tali libertà sono limitate, e si può combattere contro questi limiti. Qui da noi, siamo ancora convinti di poter pensare e dire quello che vogliamo. Tant’è…

Sono d’accordo su quello che dice dei Versetti Satanici, poco riuscito. Io Rushdie non lo amo particolarmente, ho l’impressione che sia diventato famoso più per la polemica sui contenuti di questo libro che per la sua produzione. Ma non stiamo parlando di Rushdie.

Stiamo parlando di Pamuk. Che ama la scrittura e si sente bene in una stanza piena di libri, mentre scrive. Che ha avuto il coraggio di parlare del genocidio degli armeni. E queste due cose mi piacciono.

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