Cosa mi resterà dei tanti punti trattati in quest’opera? Di certo non le parti, incomprensibili per me, in latino, greco, ebraico… e a volte perfino in italiano. Sono le riflessioni di uno che, ad un certo punto della sua vita, molla il lavoro nella guardia di finanza, e si mette a studiare la bibbia, diventa teologo perché ha bisogno di capire, di mettere ordine.
Gli argomenti sono tanti, legati tra loro come gli anelli di una catena. Nomina le differenze tra la teologia del patto e quella della promessa, tra la concezione di S. Benedetto e quella di S. Francesco (dunque tra monaci e frati), tra la salvezza sul piano storico e quella sul piano personale, tra un tempo lineare e uno circolare. Si interroga sul senso della preghiera, sull’angelismo degli eremiti che sottoponevano il corpo alle esigenze dello spirito, sul fallimento delle promesse, sull’escatologia, sulla parusia…
Di tutto questo, cosa mi rimarrà? La curiosità. Continuerò a chiedermi perché uno come Quinzio continua a vivere sotto le ali della religione dopo averla studiata così a fondo e averne scarnificato i miti. Lui si risponde da solo: “La mia adesione alla chiesa è, piuttosto che ostacolata, aiutata dall’evidenza del suo squallore: mi rispecchio in essa, mi riconosco in essa”. Rimango con la curiosità su di un uomo che posto davanti alla scelta tra due supplizi, la croce o il nulla, sceglie la croce. Poiché il titolo del libro è “La croce E il nulla” e non “La croce O il nulla”, rimango con il dubbio che i due termini siano sinonimi. Insomma, è ambiguo. Come l’Essere Umano.