Cristianesimo dell’inizio e della Fine, Sergio Quinzio

Due premesse: che Dio stramaledica non gli inglesi, ma il latino (non l’ho studiatoooooo!) e la parola Nulla, che ritorna spesso in questo libro. Detto questo, iniziamo.

Il benessere è la nuova categoria assoluta di riferimento nella vita di ognuno, al posto della felicità di antica memoria. Una categoria statica, perchè è (meglio: dovrebbe essere) un punto di arrivo, verso la felicità, che forse è una forma mentis. Questa situazione è sintomo dell’inizio di un’epoca nuova o della fine di un’epoca vecchia? E’ un nuovo tipo di cristianesimo che cerca di infilarsi nelle maglie della società del benessere o è la fine del cristianesimo tout court? Certo, questo è un ragionamento che si basa su una concezione occidentale della storia, una storia intesa come avanzamento, una linea retta con una direzione ben definita (in altre culture la storia è un decadimento, in altre ancora è un ciclo, ma viviamo qui, dunque adattiamoci!). Forse è una domanda che richiede un approccio sia diacronico che sincronico, perchè il senso non può autofondarsi sulla storia stessa, bisogna cercarlo al di fuori. Comunque, è certo che il Cristianesimo attualmente in crisi non è quello iniziale, ma un Cristianesimo costruito proprio nel corso della storia, e non ci basta la scienza per studiarlo, perchè la scienza settorializza, mentre la caduta del senso del Sacro va studiata nel completto, non a settori isolati; lo studio di questa crisi non si può proprio fare in termini solamente scientifici, perchè, secondo Quinzio, “non è possibile comprensione senza partecipazione” (domanda mia: ma qui si sconfina nella fede?)

In cosa differisce il cristianesimo attualmente in crisi da quello dei primi cristiani? Che cosa non è stato tramandato e si è perso nei secoli?

– l’importanza della critica verso le vecchie tradizioni religiose e l’accusa di formalismo. Questo aspetto è stato messo in sordina perchè il ritualismo è una “pecca” anche del cattolicesimo attuale.

– la violenza;

– i fallimento della promessa circa la venuta del Regno. Questo Regno, per attutire la delusione, è stato interpretato ufficialmente in senso spirituale, non alla maniera degli ebrei dell’epoca, che si aspettavano proprio un regno temporale sull’esempio di quello di Davide (pensiamo anche agli zeloti). Gesù credeva davvero che mancasse poco all’avvento del Regno.

– La morte di Gesù non è un atto di espiazione per i peccati del mondo, ma un’accettazione totale del dolore, perchè solo attraverso questa porta si può rinascere.

– Il discorso escatologico è stato messo da aprte. Eppure la speranza rinasce sempre là dove meno te lo aspetti (v. la componente millenaristica del comunismo!), anche se poi l’istituzionalizzazione rovina gli entusiasmi iniziali (è il processo di Stato nascente di Alberoni, no?)

Insomma, la crisi è dettata dal passaggio dalla religione (unica verità/fede) alla cultura (si fa avanti il dubbio, la ricerca, la discussione su argomenti che prima si davanto per scontati). Il problema è che la discussione sulla verità finisce col prendere il posto della Verità stessa, che si diluisce e alla fine perde di concretezza. L’unico criterio regolatore della realtà resta allora proprio il benessere, che deve essere IMMEDIATO, perchè gli uomini si sono stufati di aspettare un regno che non viene.

Solo una frase per mettere in luce un punto di contatto con Maggi (sebbene Maggi sia più cauto su alcuni punti rispetto a Quinzio): “La morte di Gesù è la nascita del cristianesimo, perchè la religione nasce quando muore Dio”.

Quinzio non è acqua fresca, per me che non ho un linguaggio filosofico è pure difficile, ma mi pare di aver colto il senso di questo libro: il Regno non è arrivato, ma abbiamo ancora bisogno di sperare nella sua venuta perchè percepiamo la precarietà di questo mondo: “Poichè il regno non è venuto, la vera religione è ancora la speranza”.

2 Comments

Filed under Libri & C.

2 responses to “Cristianesimo dell’inizio e della Fine, Sergio Quinzio

  1. Stefano Zanolini

    COMMENTO a: Cristianesimo dell’inizio e della fine

    “Cristo politico”, “Cristo rivoluzionario”, “Cristo psicologo”, “Cristo uomo giudeo”… Ci troviamo di fronte ad una interpretazione che cade nello stesso equivoco, sottolineato in questo stesso volume, della critica alla “teologia atea”, una teologia senza Dio. Mediante il metodo filosofico, storiografico, sociologico, antropologico, economico, filologico … si polverizza l’analisi fino a perdere di vista l’ “insieme” e il suo “perché”.

    La “Carità” ? Dove è la Carità? Non c’è una parola dedicata al Messaggio Evangelico della Carità, ma solo un Dio violento, crudele e vendicatore. Come si può interpretare Gesù Cristo prescindendo dalla Carità? Gesù-Giustizia e Gesù-Carità non possono che essere visti e vissuti indissolubilmente.
    Dalle parole di questo libro sembra che l’avvento di Gesù Cristo non abbia portato nulla di nuovo, lasciando il Messaggio Biblico così come era prima del suo avvento. Un Cristo vittima degli eventi che parla guardando solo al passato e al suo presente. La “Resurrezione” è relegata ad un fatto marginale e il “Regno di Dio” un appuntamento mancato, come se fossimo noi, poveri uomini, a stabilire dove e quando.

    La storia ha saccheggiato e violentato il Messaggio Evangelico, ma un conto è l’uomo e un conto è Dio. Ne discende una immagine di Dio imperfetto, piegato ai limiti dell’uomo, prigioniero del suo pessimismo e sconfitto dalla morte. Si pretende di sminuire Dio attribuendogli le nostre fragilità. La Chiesa vivente, che siamo noi comunità dei credenti, non è un fardello da cui sbarazzarsi, e la nostra “Fede”, per quanto imperfetta, non è l’usurpazione del Messaggio Evangelico, ma il doloroso cammino dell’uomo verso la Luce.

    Dio in quanto tale è ineffabile e volerlo ridurre alla povera realtà umana equivale alla sua negazione. Dio non ha bisogno dell’uomo e non può essere ridotto ad una lettura sterile, mediante pretenziose e discutibili acrobazie sillogistiche, prive del denominatore irrinunciabile che è la “Fede” e la profonda consapevolezza della insignificanza umana senza Dio.
    Che dire poi dello Spirito Santo che non viene minimante considerato nella evoluzione del Cristianesimo ed è lecito chiedersi se questa visione abbia considerato la “Trinità”.

    In breve una interpretazione distorta e fuorviante del Messaggio evangelico che riduce ad un rigagnolo il fiume impetuoso del “Cristo Risorto” che trasforma e salva l’umanità dalla sua nequizia.
    Nella storia pensatori di tutte le epoche hanno negato, osteggiato e contrastato Dio e spesso, a ragione, criticato la Chiesa. Mi stupisce però che per negare Dio o ridurlo ad un simulacro di se stesso, si debba ricorrere a questo tipo di teologia. Meglio allora chiamarla in altro modo quanto meno per onesta intellettuale.

    Il Messaggio evangelico è rivolto a tutti gli uomini, a prescindere dalla condizione, compresa quella culturale, e Dio non ha bisogno di esegeti per essere compreso e tanto meno vissuto, come dimostra ogni istante della storia dell’umanità.
    L’unica chiave di lettura di Dio è la “Preghiera” e qualunque altro esercizio intellettuale che prescinda da questo non può comprendere il suo “Mistero”.

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    • Certo che Dio è ineffabile. Non a caso uno come Panikkar parla del silenzio del Buddha, perché alla fine non c’è niente da dire, si può farne solo esperienza. Però penso sia contrario alla fisiologia del cervello umano la rinuncia al pensiero su Dio. Non possiamo non provare a rifletterci sopra, non cercare di spiegarlo. Ben venga la preghiera, per chi ci crede, ma come l’idea di Dio non può fare a meno di testi (canonici o meno, bibbie, corani ecc…), così non possiamo rinunciare a pensare dopo averli letti (per chi li legge), ed è questo che fa Quinzio.
      La carità viaggia su un altro piano, può divergere o convergere dalla riflessione, purtroppo.
      E se non si nomina lo Spirito Santo, io, che non ho ancora davvero capito che cosa sia, non ne ho sentito la mancanza.

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